La nostalgia mi colpisce a tratti, come se seguisse il ritmo delle onde che si estinguono su una spiaggia.
Damiano stava ripensando a quel sogno ricorrente che faceva spesso da ragazzo, quello in cui si trovava nella hall di un hotel insieme a sua madre. Stava chiedendo delle informazioni su una camera, i dettagli sono sempre stati offuscati. Aveva però una sensazione, una fortissima sensazione: da qualche parte nell’hotel era presente anche una persona che amava. E lui e sua madre erano preoccupati per questa persona. Ma non si trattava di suo padre, o di un qualche parente.
Si trattava di sua moglie.
Stava per compiere qualche gesto stupido e avventato, forse si stava per far del male o forse era scomparsa, anche questo è sempre stato un dettaglio offuscato.
Ricorda però chiaramente ciò che provava durante quel sogno, la sensazione di un amore incondizionato per qualcuno. Un tipo di amore che gli scaldava il petto come mai nulla aveva fatto prima.
Il sogno proseguiva con una tipica scenata isterica di sua madre (il personale non collaborava alla ricerca e lei perdeva le staffe) per poi fare un rapido balzo nel tempo e portare lui e sua madre nel bar dell’hotel. La sala era immersa nell’oscurità, tranne che per un fascio di luce che si proiettava su un unico sgabello. Era tutto molto simile a un’illuminazione scenica di un teatro.
Damiano sapeva che sarebbe dovuto andare a sedersi in quello sgabello, ma sua madre aveva una brutta sensazione, gli sarebbe accaduto qualcosa di brutto se si fosse seduto.
«Damiano!» il silenzio veniva squarciato dall’urlo di una voce femminile.
Lui e sua madre iniziavano a guardarsi attorno, a cercare con foga da dove potesse arrivare quel richiamo, ma il risveglio li anticipava sempre e purtroppo il sogno s’interrompeva immediatamente prima dell’arrivo della figura.
Damiano getta sul letto con disprezzo il suo iPhone 13.
Nessuna buona notizia per papà, i medici lo danno spacciato entro una settimana.
Si porta le mani al volto nella speranza di inumidire i propri polpastrelli con delle lacrime ma nulla si attiva. Non riesce più a piangere da un paio di mesi, a quanto pare il proverbio ho finito le lacrime ha un fondamento di verità.
Raggiunge la cucina, ha voglia di coccolarsi questa sera. Mette su il latte e si prepara una tazza con della polvere Nesquik.
Il cervello gli ripresenta il ricordo del sogno, quello dell’hotel in compagnia di sua madre.
«Non ha mai trovato un cazzo di senso quella roba, né come premonizione né come avvertimento.»
Parlare a voce alta spesso lo calma, a volte gli capita di farlo anche davanti allo specchio.
«La vita non ha senso. Da bambino ti fissi che è già tutto scritto, che andrai sempre da un punto A a un punto B, che avrai sempre ben chiaro dove andare. Ma crescendo poi capisci che in realtà l’unico modo di andare da A a B è quello di illudersi con gli impegni che facciano finta di portarti da A a B.»
Il latte è cotto, lo versa con calma nella tazza.
«Sono qui, solo come un cane a quarantatré anni. A pormi ancora queste domande.»
Inizia a sorseggiare la propria bevanda nonostante sia bollente, l’odore del Nesquik lo riporta per una frazione di secondo alla sua infanzia. È la terza onda nostalgica che lo colpisce oggi.
«Che cazzo Damiano, hai sempre e solo voluto vivere di esperienze che venivano certificate fin dal principio come “non definitive”, lo credo che ti ritrovi solo.
Hai scelto sempre di fermarti tra il punto A e il punto B, per paura… o forse solo perché trovi gusto a lamentarti.»
Si alza dal tavolo e raggiunge la dispensa per prendersi una Nastrina.
«La cena dei campioni.»
Il giorno dopo, per andare a lavoro, decide di usare la strada più lunga. Così parte presto.
Dopo pranzo andrà a trovare papà, forse nei prossimi giorni si prenderà addirittura qualche giorno di ferie (anche se così facendo ha paura che si ritroverà con troppo tempo per pensare).
Il percorso più lungo lo conduce in stradine isolate, facendolo transitare in mezzo alla campagna tipica del Nord Italia. Prima di arrivare a Giarria bisogna scollinare e poi scendere da Le Coste, così ora la strada s’impenna. Prosegue spedito, non c’è traffico, il sole sta diventando pieno. I raggi filtrano tra i rami degli alberi e lo colpiscono in volto.
Adora quei luoghi.
Poco prima di arrivare in cima c’è un piccolo prato verde sulla destra della strada che lo fa sentire strano... un sapore amaro gli pervade la lingua, poi per qualche istante la sua coscienza è come se uscisse dal corpo e potesse vedersi dall'esterno.
L’erba è più verde lì. D’inverno la neve dura di più lì. Il vento lì c’è, ma le foglie mosse non fanno rumore.
Tutto è così stranamente silenzioso e metafisico.
Ho sempre desiderato coricarmi in quel piccolo angolo verde.
Sentire gli indumenti umidi e sporchi di terra.
Chiudere gli occhi e respirare l’aria fredda del mattino presto.
Prendere il Victorinox nero di mio fratello e tagliarmi la gola.
Mettermi a pancia all’aria e ordinare le mani sul petto come una salma,
con il sangue che cola e crea un contrasto tra il gelido e il caldo.
Dire il suo nome prima di abbandonarmi.
Scollina Giarria, transita per Le Coste bisticciando con il limite di velocità e raggiungere la fabbrica in cui lavora. Decide che sì, nei prossimi giorni starà a casa. Andrà a trovare papà e starà in ospedale per tutte le ore di visita. Farà cambio con suo fratello giusto per pranzare o sgranchirsi le gambe.
Così i giorni successivi passano senza troppi drammi, papà peggiora lentamente, ma sorpassa la settimana di previsione.
Anche Damiano sopravvive, ogni volta che papà si addormenta (il che vuol dire la maggior parte del tempo) legge qualcosa. Si è portato un classico, Il tamburo di latta, che ha divorato.
Papà si spegne un mese e mezzo dopo, in ospedale, il 7 novembre, alla presenza dei suoi due figli.
I fratelli si stringono in un abbraccio, senza pianti. A quanto pare nella sua famiglia c’è un palese problema di lacrimazione.
La funzione si svolge due giorni dopo, Damiano legge un piccolo discorso, i parenti portano il loro cordoglio, la nostalgia fa fioccare i ricordi e danneggia in modo definitivo il senso delle cose per Damiano, che esattamente un anno dopo si dirigerà in quel piccolo spiazzo verde sulla salita per Giarria, si coricherà nell’erba umida e con estrema sicurezza reciderà la propria carotide.
«E questa, sarà la tua condanna.»
«Ma io ti amo.»
«Non ho volto, l’avrei avuto se tu mi avessi cercato.»
«Fatti vedere, magari mi ricordo di te.»
«…da qualche parte ero in vita anche io, ma tu non ci credevi.»
«Lo sai molto bene, invece...»
«Non so di cosa stai parlando.»
«Perché mi hai incolpato per tutte le tue insicurezze?»
«Damiano» dice la donna del sogno.
Damiano si siede e «prendo un whiskey e amaretto.»
Un solo sgabello è illuminato.
Il bancone del bar si trova sopra il palco del teatro Giacosa di Ivrea.
«Però prima passa dal bar» dice la mamma.
13
«Qual è la mia camera?»
Damiano si ritrova nella hall dell’hotel.
«Ciao mamma, ciao papà.»
Benvenuto Damiano.
❄️ Buone Feste Viaggiatori Corvidi! 🎄
I. G.
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