direzione sconosciuta
- Igor Gribaldo
- 12 feb
- Tempo di lettura: 8 min

La consegna
Immagina il tempo come una persona, che aspetto ha? (un anziano saggio, un bambino giocherellone, un'entità eterea senza età?)
Se potessi scrivere una lettera a questa persona, cosa gli diresti? Domande? Lamenti?
Nella prima parte dell'esercizio scrivi un breve identikit del tempo e nella seconda la lettera che gli scriveresti.
Giacomo (@giacomo.pirovano)
IDENTIKIT
Una donna fosca si aggira per il centro notturno. Intorno a lei si aggregano e disgregano eserciti, società, lupi solitari. Guidati da fiamme e condottieri, trovano un senso intorno a scarli abbruciati. Si massacrano tra loro in una competizione senza tregua. Lei sfugge sempre, svanisce tra un vicolo e un vecchio lampione, dietro una grottesca palazzina, nelle viscere del mondo urbano, in mezzo a fratte e radi boschi murati, nell’urlo delle acque di un fiume spezzato dalle rocce, sacro agli illusi, quieto sotto i loro superbi ponti di pietra. Si dilegua sotto l’occhio truce di mille animali-simbolo dalla grande vitalità cromatica: questi sbiadiscono più tardi degli uomini che li concepirono. Continuano a svettare sulle bandiere trafitte dalle intemperie e dai venti, ma poi anch’essi, millenni dopo essersi esaurita l’eco dell’ultima parola pronunciata, lei li getterà nel baratro in cui ogni cosa tace, da cui si nasce, cui tutto tende.
LETTERA
Tempo, mi hai insegnato che tu non esisti. Anzi, mi hai chiesto di chiamarti con il tuo vero nome: Passato. Mi hai spiegato che sei il nostro, il mio unico patrimonio. Hai quindi dichiarato che tu sei tutto? Sei tu che decidi cosa possiede valore di verità? Tu infine sei la specie che premia e sommerge? Vorresti dire dunque che non ho bisogno di nient’altro? Tu, inafferrabile dall’infinita chioma fluente?
Ma quando ti ho presa per errore, quando, per un attimo, ho conosciuto ciò che non avrei dovuto conoscere, il tuo eterno potere mi ha mostrato ciò che non esiste.
Presente, per un istante, mi sono abbandonato nella tua bianca crudezza, tu, nerissima morbida seta, formosa terra.
Troppo accogliente per lasciarti andare lontano nel torbido del tramonto d’agosto.
Igor (@gribyslab)
Ero nella corsia delle spezie, dei dadi Knorr e delle olive nel vecchio Auchan di Corso Romania a Torino. Avevo qualcosa come sei anni. Lo distinsi pur vedendolo solo con la coda dell'occhio. Trascinava il suo lungo mantello nero, consumato e unto, lungo le Non vedo l'ora di accendere la play e giocare piastrelle nuove del supermercato. In mano reggevo un gioco della Playstation 2 appena acquistato, CRASHED. Da qualche parte i blink-182 suonavano un pezzo. Non aveva odore, non parlava la mia lingua. Mi spostai nella corsia delle merendine, per cercare quella col dischetto di cioccolato bianco dei Pokémon. Ci fermammo, io a un capo della corsia e il Signore del Tempo dall'altra.
Il volto era un pozzo nero che assorbiva le misure del tempo. Sentivo i secondi di cui si nutriva. Non parlai, ci limitammo a fissarci. Poi arrivò papà, lo guardai negli occhi, i secondi con lui non avevano più forma, ritornai a guardare la corsia e il Signore del Tempo era svanito.
Carissimo figlio di puttana,
Hai un mano un libro che si scrive con l'andare dei momenti. Lo vediamo tutti appena nati, non ridai indietro niente, se non il rimpianto e la malinconia.
Poche volte sei riuscito a farmi stare bene. Sono molte di più le volte in cui sono andato in crisi.
Sai quante cose ti sei portato via insieme alla tua amica Morte?
Jolanda (@jukeboxscienza)
Fugit
È da quattro anni che mi preparo a questo momento. In effetti, la prima cosa che ho fatto è stata proprio correre.
Non credo in Dio. Siamo noi ad aver inventato i dadi, i veli e le indulgenze. Ma lei mi aveva sempre parlato degli angeli, di come la confortassero quando ne aveva bisogno, di come avessero risposto ad alcune sue domande sulla vita. E ora io avevo una domanda molto difficile, e non sapevo come trovare chi avrebbe potuto rispondere, e forse loro lo sapevano. Così, corsi a quella porta che amavo, e poi sulle scale che amavo, e arrivai a uno di quegli angioletti paffuti che erano stati suoi amici.
Di fronte a quegli occhietti macchiati d’azzurro provai a far uscire le parole. Erano enormi, di marmo, rocce che mi graffiavano e mi ferivano, troppo in profondità per emergere. Ma forse non occorreva che uscissero, perché la piccola figura rispose. Non so come, lessi nei suoi occhi vacui: dovevo aspettare e prepararmi, ma l’avrei incontrato.
E allora mi ero preparata. Non c’era pioggia, né fuori né dentro di me, che tenesse: io correvo, tutti i giorni, anche se c’era vita altrove ad aspettarmi, anche se mi sembrava che, nonostante io facessi i chilometri, tutti stessero andando più lontano di me. Sapevo che anche se fossi stata la più veloce del mondo non avrei resistito che pochi secondi alla sua andatura, ma avevo bisogno di quei pochi secondi.
E ora, eccolo.
È così veloce che è quasi impalpabile. L’ho visto solo perché stavo già correndo, e solo perché lo cercavo.
Il mio corpo si tende, si accende, s’infiamma, mentre vedo che mi supera. Le mie mani si congelano, ma ormai c’è una sola cosa che so fare, e mi velocizzo. Attraversa un muro, ma io ci passo intorno e corro, corro, ancora più veloce, tra strade e persone, come se non potessi morire.
Voliamo sul viale, e lo raggiungo. È scuro, sottile, un volto anonimo e gli occhi fissi nel vuoto.
Non respiro, eppure urlo: “Come posso fare per farti tornare indietro?”.
A rilento, si volta verso di me e fissa i suoi occhi nei miei. È come guardare gli occhi della persona più anziana, più stanca e più addolorata del mondo.
“Non si può” echeggia la sua voce profonda e aspra.
Cedo.
Mi ritrovo con il corpo disteso su un marciapiede, la testa sull’asfalto. Lui è andato, e con me resta il dolore del sangue e delle lacrime.
Piango, urlo.
Avrei dato tutto per tornare indietro, anche se avrei dovuto rivivere il dolore di tutti i fallimenti, le ferite, la maturazione, le cadute, gli addii. Tutto, anche se non per forza per cancellare quello che era successo. Anche solo per cinque minuti ancora insieme, per abbracciare quelle rughe.
Silvia (@rougewine)
Il senso del Tempo.
Lui è un esploratore silenzioso.
È un viaggiatore instancabile, non si ferma mai, cammina senza sosta con passo costante e non si guarda mai indietro.
Quando passa accanto a noi lascia un’impronta invisibile insieme ad un lieve dolore, come un livido.
A volte sembra fare dei passi giganti, altre volte invece sembra che avanzi lentamente.
Gli piace scherzare, infatti a volte accelera perché ha fretta di mostrarci la via.
È un saggio compagno di viaggio, lui insegna la pazienza e la costanza, cerca di mostrare sempre il significato delle cose.
A volte sembra muoversi più velocemente e ci sorprende.
Ma lui non è solo questo.
È affascinante, imprevedibile.
Si considera un artista lunatico, ama dipingere, di conseguenza in quei giorni sembra un altro.
A volte però è stanco perché non si ferma mai, non riesce neanche a rallentare e per non sentirsi solo cammina costantemente al nostro fianco.
Caro Tempo,
ero fortemente indecisa se scriverti, ma alla fine ho deciso di prendermi un momento per inviarti questa lettera.
Mi volevo scusare con te, perché ti do sempre per scontato e spesso sfogo la mia rabbia su di te, ma è inevitabile dato che sei una presenza costante nella mia vita.
Tu sei come un fiume senza sosta, impetuoso, a volte infatti ti sento frenetico e in quei giorni mi sento più stanca del solito.
Eppure, è strana la percezione che ho di te, tu cammini sempre allo stesso modo.
Mi rendo conto solo ora di quante volte ho desiderato che tu rallentassi, specialmente nei momenti felici e al contrario altre volte ho voluto che accelerassi per superare il dolore o la delusione.
Non lo ammetterò mai, ma solo ora ho capito che il tuo ritmo è perfetto esattamente così com’è e ogni attimo è prezioso proprio perché non può essere fermato.
Continuerò a stare al tuo fianco cercando di apprezzare tutti i singoli passi che faremo insieme anche se saranno amari e pesanti, anche se non posso prometterti di non incazzarmi più con te.
Sei un compagno silenzioso è vero, ma sei fedele, cosa rara ultimamente e io questo non posso dimenticarlo quindi… grazie.
Sinceramente Silvia
Efed (@the_efed)
Che cos è il tempo?
Iniziai a chiedermelo una notte mentre aspettavo con ansia ke il mio ragazzo Kevin rientrasse da una cena di lavoro. Tracciai con la matita per gli occhi delle linee di diversa lunghezza su un foglio, cercando di capire che differenza c’era da una all'altra, poi mi resi conto che quando tracciavo la linea più lunga pensavo a quanto tempo ci avessi messo a tracciare la linea più breve e viceversa per mille volte.La mattina seguente, Kevin mi sveglió rientrando. Era mezzo ubriaco, accennò un saluto e si mise a dormire. Non feci molte domande e scesi giù a fare colazione, da sola come sempre. Erano ormai sei anni che vivevamo a Poznan ma sembravano sei mesi. Ricordo ancora la prima volta ke assaggiai quella bomba calorica fragrante del cornetto di San Martino, un piacere della vita che ora mi concedo quasi ogni mattina. Per me all‘inizio era tutto nuovo, sono venuta in Europa per accompagnare il mio ragazzo Kevin ke aveva trovato il lavoro dei suoi sogni proprio qua in Polonia dove vivevano i suoi nonni. E pensare che anche io sono originaria dell’Europa, i miei avi venivano da un piccolo villaggio di pastori chiamato Biella nel freddo e nebbioso nord dell’Italia. Ma è passato così tanto tempo che nemmeno saprei dire se ancora esiste quel posto.Ogni mattina da 6 anni attraversavo le colorate vie della città vecchia per andare a lavorare al centro commerciale del vecchio birrificio. Passando davanti alla cattedrale incrociavo sempre il solito vecchio mendicante silenzioso che attendeva le elemosina mostrando un brandello di cartone ondulato con una scritta in polacco. Il suo aspetto era trasandato ma a fissarlo meglio si poteva notare un viso che un tempo era stato affascinante, la barba ed i capelli ormai ingrigiti mostravano riflessi biondi. Anche i vestiti seppur logori sembravano vestiti di buon gusto di tessuti pregiati, quasi da gentiluomo. In un certo senso nonostante la confezione non avrei avuto difficoltà ad immaginarmi come poteva essere stato quel viso in momenti migliori e piu gioiosi, e per certi versi quell'uomo ormai mi sembrava più interessante di Kevin. Quella mattina quello stesso vecchio silenzioso mi fissò in modo diverso e per la prima volta parlò, facendolo con un perfetto inglese: - “Buongiorno signorina! Lei ke è raggiante come questa giornata ha qualche zloty per favore?” Io ke ero in una delle mie giornate più grigie apprezzai smisuratamente il complimento e decisi di regalare al vecchio quei 20 zloty ke giravano nel mio portafoglio ormai da mesi. - “La ringrazio signorina gentilissima, e si ricordi sempre che io sono come il tempo!” poi si mise a cantare una strana canzone:
“sono anni che la mia mente non è più lucida, è colpa del tempo? O è colpa del tè che ho bevuto sui monti Tattra?”
Dopo quella mattina il vecchio scomparve. E non lo vidi più, mai più. Chiesi al parroco della cattedrale se avesse notizie ma sembrò non essersi nemmeno mai accorto della sua esistenza. Abituata alla routine di tutti i giorni era come aver perso una minuscola parte di me. Una sera ero a casa da sola perché Kevin era in trasferta lavorativa, ripensai a quello che aveva detto quel vecchio prima di sparire. Decisi di raccogliere tutte le mie riflessioni scrivendogli una lettera fittizia su un pezzo di carta che quasi certamente per vergogna avrei stracciato prima del ritorno di Kevin…
Gentile signor tempo,
Ho deciso di scriverle una lettera, per chiederle se è soltanto una mia impressione o io e lei siamo parte della stessa entità mutabile ed incomprensibile e se, come dire, lei non è nient'altro ke una assurda spiegazione obbligata della visione alternata tra il sonno e la veglia ke convenzionalmente per l'indottrinamento ricevuto fin qui sono stata costretta a considerare sensata. Ma non è forse un errore dare troppa importanza alla misura del tempo? Per quanto oggettivo e razionale possa sembrare questo sistema ke ci hanno inculcato e ke la natura cerca di farci ingoiare con le sue costanti, non è forse un errore dare ad esso troppa importanza ed ignorare i segnali altrettanto frequenti di incostanza della natura?
La mia trisnonna di Biella diceva sempre: “Ognuno di noi ha un suo tempo, poi c'e Dio"
Già ricordando questa frase ho sempre pensato di non vivere nel tempo, ma che il tempo esistesse per mia sola volontà e che fosse solo uno dei tanti modi semplificati che la nostra mente crea per comprendere l’esterno, prima dell’eterno.
Avrei voluto chiederle molte cose gentile signore, riflettere con lei sulla vita e sull universo, avrei voluto conoscerla meglio ma come dire… mi sono accorta di lei troppo tardi e ormai non c'è più tempo per farlo!
𝐷𝜇𝜌𝑙𝜀𝜘 𝜌𝜎𝜀𝜏𝜄𝑐𝛼
#34

16 gennaio 2025 - 10 febbraio 2025
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