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𝕄𝕒𝕘𝕠𝕟𝕖 𝕖 𝕒𝕝𝕥𝕣𝕖 𝕔𝕠𝕤𝕖 𝕕𝕚𝕧𝕖𝕣𝕥𝕖𝕟𝕥𝕚 parte 1


Ph: Griby's Lab




Fine Before You Came - Magone

Tratta da Ormai


Vorrei che il magone fosse un grande mago

Che ti strappi un sorriso

Perché credimi, con quella faccia mi sembri un randagio


Ti sei chiusa dentro al bagno con un trucco ormai vecchio

Farò finta che va tutto bene quando torni a letto

E non venirmi a dire che fa tutto schifo quel che è triste

Quando a volte vorrei piangere e diventare rosso come fai tu

Così brutto da ricordarmi bello

Risentirmi vivo


Ti porto al cinema stasera

Ma paghi tu

Che io non ho un lavoro


Ti porto al cinema stasera

Ma paghi tu

Che io non ho un lavoro

Che io non ho un lavoro



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Giacomo


Vorrei che il magone fosse un grande mago

Che ti strappi un sorriso Perché credimi, con quella faccia mi sembri un randagio

Il significato di magone non è univoco. Per molti può essere semplicemente il sinonimo di una condizione di dispiacere, di preoccupazione, ma a quanto pare l’origine longobarda della parola ne racchiude tutta l’autentica concretezza.

La radice germanica *magō è probabilmente corradicale del termine stomaco, vale a dire le nostre viscere. Il magone è quel moto profondo che risale, è quella magia che in un attimo ci incanta fino ad annodare la gola.

Una persona ti conosce da tempo, ti ha osservato e ha tentato di sbirciare dietro ai veli che proteggono il tuo non detto. Un giorno, quasi all’improvviso, può arrivare a dirti: «Non so quand’è l’ultima volta che ti ho visto sorridere.» Tu, faccia randagia, puoi reagire con orgoglio, vantandoti della tua mancanza di entusiasmo per la vita. Tempo dopo ti accorgi che di quel momento è rimasto solo un passato irrimediabile.


Ti sei chiusa dentro al bagno con un trucco ormai vecchio

Farò finta che va tutto bene quando torni a letto

Puoi vivere una storia condivisa per molti giorni. Poi, una mattina, ti accorgi che quella vicenda colma di ricchezze è ormai abitudine. È una condizione che minaccia la consapevolezza dello stato di salute di quel ‘noi’. Vivi nel disinteresse; è come portare un vestito molto comodo ma sgradevole, è tenersi addosso un’apparenza che non appaga più come prima.

Dedichi meno tempo davanti a quello specchio che, uno o due anni fa, rifletteva tutta la tua voglia di onorare ogni tua bellezza. Quel trucco secco è il tuo viso, il tuo corpo dimesso; è l’intonaco di un passato lontano. Quel letto invece sapeva prima di tutti gli altri.


Ti porto al cinema stasera

Ma paghi tu

Che io non ho un lavoro

Si è andati spesso al cinema in aprile. Avevamo un celeberrimo manuale a casa e l’occasione imperdibile di vedere al Massimo un film di Wong Kar-wai in lingua originale. «Che film possiamo guardare?» mi chiedevi. «Apri il libro, scegli tu, se guardi lì non ci si sbaglia,» e ti mettevi a cercare.

Che fortuna scoprire un posto in cui se parcheggi, in fondo, non importa a nessuno, nel controviale di corso Regina, a due passi da Largo Montebello. «Pago io piccola, ho un lavoro, tu stai ancora studiando.»

Dicevamo che erano davvero unici i suoni del cinese wu o del cantonese, che era un gioiello ogni inquadratura, che erano incantevoli i vestiti di lei. Poi siamo usciti e tu hai detto: «Che bello andare al cinema la sera.»

Dovevamo mangiare qualcosa e ti agitavi un po’ se le cose non andavano per il verso giusto. Quella volta avevo trovato una soluzione girovagando per Santa Giulia, infatti siamo finiti da Klec: «Ho capito com’è questo locale, in pratica è cucina mitteleuropea,» dicevo. Era tutta così la nostra vita insieme, era piena di tutte queste cose. Mi ricordo le luci blu: la polizia si preparava alle ronde per il coprifuoco ma eravamo ancora in tempo. Che belle quelle sere d’aprile, l’aria era ferma e si poteva stare fuori solo con una giacchetta.





Igor

Credit: Game night by Cult Class




Ti sei chiusa dentro al bagno con un trucco ormai vecchio

Farò finta che va tutto bene quando torni a letto




Avevi detto di amarmi, ma il mio trauma non ti aveva creduto.

I suoni elettrici della chitarra mi riportano alla sensazione disarmante di quando avevamo fatto quella cazzata… quella dei fotogrammi in movimento con noi di fronte alla metropoli ricolma di esplosioni terroristiche come se fossero fuochi d’artificio.

Noi eravamo mano nella mano, a chiederci dove fossero finite le nostre menti.

Incerti sul nostro futuro, scolastico e amoroso.

Ti sei chiusa dentro al bagno con un trucco ormai vecchio

La secchezza di quelle polveri di finta bellezza erano la perfetta rappresentazione dell’interesse che nutrivo nei tuoi confronti.

Granelli di sabbia senza vita, disinteressati al proprio destino.


Farò finta che va tutto bene quando torni a letto

Perché tanto di fianco a me, fuori da quella cazzo di finestra a libro che tanto avevi desiderato, c’è la fine del mondo.

Esplosioni si susseguono regolari come battiti cardiaci.

Sento la tua mano che mi sfiora.

Alla soglia della fine il magone ha finalmente acchiappato anche te?


Ma tu non eri quella che non si abbatteva mai?


Quella in grado di essere felice anche se le cose tra noi stanno andando a rotoli?



Ti avvicini, con il volto bagnato dalle lacrime. Hai voglia di scopare.

Così ti spogli, nel tentavo di eccitarmi.

Ma il tuo monte di venere ormai per me rappresenta soltanto una collina della malinconia.

È come se tutti i bei momenti passati assieme prendessero forma sul tuo corpo, in miniatura.

Riesco a vedere dei piccoli umani che passeggiano su di te.

Noi due a stringerci forte durante quella settimana bianca ad Alta Badia, noi due che corriamo cercando di colpirci con le fionde in quella stupida versione di paintball.

Un’esplosione più vicina a casa nostra frantuma i vetri facendoci piovere schegge sui nostri corpi nudi.

Tu provi a metterti sopra di me. Io ti spingo via con dolcezza.

Hai gocce di sangue ovunque, come se indossassi una grottesca maglia a pois del Tour de France.

Il calore delle radiazioni ci sta entrando in casa amore

Mi giro dandoti la schiena, fuori distinguo in lontananza un piccolo fungo atomico.

Che per qualcuno sarà stato enorme.

Per qualcuno mortale.

PROPRIO COME QUALSIASI COSA IN QUESTA VITA

Ti sento piangere.

Mi scende una lacrima anche a me.

Allungo una mano sul tuo corpo, sfiorandoti un seno per poi riuscire a incontrare la tua mano.

La stringo forte.

Poi il caldo diventa insopportabile.

Conducendoci verso le tenebre eterne.





Greta


Vorrei che il magone fosse un grande mago

Che ti strappi un sorriso Perché credimi, con quella faccia mi sembri un randagio

Il riso puro di chi gode della vita ti ha abbandonato, ormai solo una linea obliqua e sottile ti riga il viso.

Un momento invincibile, subito dopo, UMANO.

Umano, troppo umano, forse un po' bevuto.

Ti sei perso nei meccanismi contorti del gioco della vita, e anneghi.

Il cristallino ti osserva, ma è la mia anima che riflette.

Un calore purtroppo ben conosciuto scende sulle guance. Le viscere del mio essere tramutano in mattoni. Silenziosamente fabbrico un focolare senza porte né finestre.


Mi sono chiusa in bagno con un trucco ormai vecchio. Perfetta è la risposta alla mia domanda.

Lo specchio mi osserva.

Inalo nicotina.

Alla fine, tra baci alla sambuca e baci amari non cambia molto.




Giulia


Fine Before You Came - Magone


posarsi sull’orlo

di un letto di lacrime

cadere giù

dai bordi arrossati

le iridi dense

di vive impressioni

farò finta che va tutto bene

farò finta sia tutto mare





𝐷𝜇𝜌𝑙𝜀𝜘 𝜌𝜎𝜀𝜏𝜄𝑐𝛼

Parte 1

19 settembre 2022 - 10 ottobre 2022

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