
Vorrei solo un po’ di conforto.
Un istante di vita che dentro di me farei durare in eterno.
Una lacrima di luce per tenere lontana la mortalità.
Fino al suo momento.
La prima cosa che lo sguardo di Edoardo inquadra al suo risveglio, la mattina di Natale, è la condensa formatasi sulla finestra del suo monolocale.
Tale visione lo riporta ai ricordi della sua infanzia, nella sua casa di Torino. Lui, sua mamma, suo papà e sua sorella Alessandra vivevano in un splendido appartamento situato nel quartiere di Madonna del Pilone. Il letto in camera sua ero poggiato vicino a una finestra in cui scrutava ogni mattina la medesima condensa di adesso.
Al tempo, quel fenomeno naturale sprigionava in lui una gioia incontenibile e rassicurante. Ricorda in particolare il Natale in cui aveva ricevuto in regalo un cofanetto con raccolti in CD tutte le opere di Mozart, interpretate dai più grandi musicisti del mondo. Lui suonava il violoncello, ed era completamente assorbito nel mondo della musica classica. Aveva così passato quel Natale ad ascoltare (e di conseguenza ad obbligare anche la sua famiglia) i pezzi del musicista austriaco.
Ritornare per qualche momento a quel periodo gli porta un po’ di malinconia, ma la malinconia non è forse il leitmotiv del Natale di ogni persona adulta?
Crescendo Edoardo lasciò la carriera artistica per dedicarsi agli studi di Economia e, una volta presa la laurea, iniziò a lavorare come analista finanziario di alcune aziende per poi trovare lavoro come revisore contabile in una filiale di un’importante multinazionale, in Canavese.
La camera da letto nella sua casa canavesana dà su Piazza Cavour e sul Giardino San Germano.
Durante i mesi invernali il giardino si riempie di una variegata tipologia di persone: madri che portano a spasso i loro piccoli pargoli, coppie di giovani che si accoccolano sulle panchine per stringersi in dolci abbracci, anziani che passeggiano lentamente con i cappotti lunghi e un giornale infilato di verticale nella tasca. I numerosi frassini che compongono il Giardino virano il proprio colore abbastanza presto, il laghetto al centro del parco si ghiaccia per mesi, l’atmosfera assume un qualcosa di vibrante e magico, e a Edoardo tutto ciò piace.
Ha l’impressione che la vita sia più saporita quando la natura intorno a sé lentamente si spegne. È convinto che il Canavese sia al massimo del suo splendore nel periodo precedente Natale. In lui cresce una sensazione, un desiderio che lo portano a sperimentare un godimento psichico ogni volta che si mette ad ammirare come il sole illumina i luoghi in cui vive.
C’è, però, anche un’altra sensazione che cresce in lui in alcuni momenti: quando si apposta alla finestra per ammirare tale divina creazione ha l’impressione che tutte quelle persone siano solamente delle comparse pagate per riempire il suo campo visivo.
La madre con il passeggino in realtà è una spogliarellista che cerca entrate extra, le giovani coppie sono composte da attori che non si sono mai visti prima e gli anziani non hanno nessun interesse a leggere quel giornale che li attende diligente nella tasca. Anzi, gli anziani sono come i fiori delle surfinie appassiti, devono essere rimossi velocemente per non influenzare il resto della scenografia con la loro caducità. Per cui è quasi impossibile rivedere lo stesso anziano a distanza di una settimana.
Questi pensieri conducono Edoardo in una zona della propria coscienza in cui tutto è morte e nostalgia. In cui non c’è spazio per il presente perché ciò che di buono si poteva vivere è già stato vissuto. E nel periodo di Natale questa sensazione si amplifica.
Nevica da un paio di giorni, il cielo è di conseguenza sempre di un bianco fantasma.
Camera sua è un concentrato di disordine. Edoardo è un avido lettore, ha libri appoggiati ovunque perché lo spazio sulle librerie e sui mobili sono finiti. Si potrebbe quasi sostenere che quell’appartamento sia costruito sulle pagine dei libri anziché su ordinari mattoni.
In seguito all’apprezzamento del Giardino, il pellegrinaggio del suo sguardo procede attorno alle pareti della sua camera, in cerca di crepe o di qualche piccolo insetto. Ma l’unica cosa interessante in cui si imbatte è un rumoroso orologio e uno specchio in cui immagina di riflettersi. Riesce quasi a vedere i folti capelli scompigliati per il sonno agitato.
Il suo sguardo ora si abbassa a terra, continuando a roteare lentamente.
Opera struggente di un formidabile genio, Contabilità e bilancio, Pet Sematary, Scienze economico aziendali, Abbiamo sempre vissuto nel castello… e centinaia e centinaia di altri titoli.
Nel momento in cui Edo stava per arrendersi e tornare alla finestra appare lui.
Emma di Jane Austen. Il libro preferito da Agatha, l’ultima ragazza che gli ha spezzato il cuore.
L’aveva conosciuta a un congresso organizzato a Chivasso, una cittadina poco fuori Torino, anche lei era un revisore contabile con uno spiccato gusto per la buona letteratura. Durante la pausa pranzo di quel convegno si erano entrambi soffermati a dare un occhiata alla libreria dell’hotel, posta di fianco all’ingresso della stanza in cui avveniva il meeting. Erano così assorti nel leggere i titoli che non si erano resi conto l’uno della presenza dell’altra, fino a quando non avevano alzato il braccio per scegliere di dare un'occhiata allo stesso libro.
Si erano sfiorati con imbarazzo le mani.
Come in un cazzo di film.
Edoardo prende un lungo sospiro e raccoglie il romanzo della Austen.
La polvere aveva ricoperto quasi completamente la copertina del romanzo, la quale raffigurava la fotografia di una graziosa ragazza con indosso un elegante vestito bianco e una gonna a tutto tondo. Con un rapido gesto della mano libera la povera creatura dalla sabbia del tempo e si sofferma.
Apre la prima pagina, c’è un appunto di Agatha: Ho lo spirito, ma ho perso i sentimenti.
Sul volto del ragazzo appare un mezzo sorriso. Joy Division.
Un rapido flash lo riporta a una notte in compagnia di Agatha. Spotify in sottofondo però riproduceva un pezzo di Claude Debussy, e non uno del gruppo di Ian Curtis.
Loro erano seduti al centro del materasso, nudi e abbracciati, intenti a fare discorsi profondi sul senso delle cose. Poi Agatha si era improvvisamente zittita e aveva iniziato a fissarlo negli occhi.
Per lui era stato come se la ragazza fosse entrata nella sua mente. Si era così zittito a sua volta.
Non saprebbe dire per quanto tempo fossero rimasti così. L’unione visiva era poi stata interrotta dalla stessa Agatha una volta che aveva preso a baciargli e a mordergli il collo.
Lui si era abbandonato a lei, con il petto ricolmo di conforto e di desiderio.
Avevano proseguito con altri baci e carezze e respiri animati dal piacere.
Fu quasi al culmine che Edoardo realizzò.
Avrebbe voluto godere appieno delle sensazioni del momento ma l’idea che tutto questo sarebbe stato un giorno rimpianto, soffocava ogni tipo di estasi e sollievo. Quasi come se nel momento stesso in cui queste straordinarie effusioni venivano compiute, da lui erano già rimpiante.
Si era fermato, preda dell’angoscia moritura, e aveva iniziato a piangere.
Agatha con pazienza si era messa a consolarlo, a tendergli una mano immaginaria per condurlo fuori dalle stupide tenebre in cui lui stesso si cacciava. Quando finalmente riuscì a spegnere la presenza di tali pensieri era ormai tardi, anche il fuoco della passione si era ormai affievolito.
«Se avessi avuto un’altra testa sarebbe stato diverso?»
Ripropone un lungo sospiro, scaccia il ricordo dalla mente e con una particolare leggiadria, come se si trattasse di un antico e delicato vaso, ripone il romanzo al suo posto.
In seguito scruta rapidamente la finestra, per poi decidere di scendere per fare una passeggiata. Edoardo decide d’impulso e con una certa apprensione, perciò durante la camminata verso l’uscita cozza contro un paio di pile di libri che si adagiano a terra con un movimento simile a quello di un’onda che si estingue su una spiaggia. Ma al ragazzo pare non importare.
Scende in fretta le scale e appena apre il portone di casa sua viene investito dalla luce riflessa sulla neve. Impiega alcuni secondi per riprendersi dall’improvviso abbaglio, è come se ogni oggetto su cui posa lo sguardo sia fatto di un’inconsistente cromo.
Recuperata la vista inizia a camminare verso il Giardino come se avesse fretta. È una brutta abitudine che ha preso quando per un certo periodo l’azienda l’aveva mandato a lavorare a un’ora da casa. Il fatto di dover viaggiare per un momento che lui riteneva molto lungo lo conduceva a provare una costante ansia, che a sua volta lo portava a vivere con il mood della fretta.
Quel pomeriggio, le persone attorno a lui quasi non lo notano, passeggiano tutte prese dai loro impegni o dalle loro discussioni al cellulare.
Ma a Edoardo va benissimo così, a lui piace osservare più che interagire, se non si fosse capito.
Sceglie la panchina centrale, quella che ti fa dare le spalle al piccolo laghetto del Giardino (e in questo periodo anche all’immenso, verdissimo e luccicante albero di Natale). Da lì ha modo di osservare le persone che passeggiano.
Come da casa sua ma con a disposizione ancora più dettagli.
In più è la panchina in cui lui e Agatha si fermavano sempre per fare pranzo assieme. Da qualche parte dovrebbero ancora trovarsi incise le loro iniziali. Ma Edoardo non ha voglia di verificare. È difficile già solo starci seduto sopra.
Lo sguardo del ragazzo viene attirato da un bambino con una giacca della Scuderia Ferrari, il rosso fiammante spicca in mezzo al candido bianco della neve.
Il piccolo sta raccogliendo alcune palline di neve che ripone nelle tasche della giacca, come se stesse facendo scorta. Le tenere e paffute mani del bambino portano per un attimo i pensieri di Edoardo sull’argomento “avere figli, un giorno”.
È un argomento a cui pensa spesso negli ultimi tempi, gli sarebbe piaciuto avere uno di quei cosi un giorno.
Ma è troppo tardi adesso.
Soffoca il pensiero con brutale violenza e, quando la visione del piccolo perde d’interesse, il ragazzo si mette alla ricerca di qualcos’altro.
Un anziano si siede di fianco a lui, alla giusta distanza, quasi come se lo percepisse. Ha un volto spigoloso, ricolmo di rughe. Anche lui sta guardando in giro sovrappensiero.
A Edoardo scappa un piccolo sorriso.
È quasi ora di raggiungermi.
Si rimette anche lui ad osservare in giro.
La fortunata adesso è una ragazza, sui vent’anni, ha i capelli bruni, quasi neri. Indossa degli occhiali con una montatura che secondo Edoardo non le dona, soprattutto perché nascondono un iride di color smeraldo. Sta camminando con sicurezza verso la sua direzione. Indossa un lungo cappotto verde muschio, è parecchio alta già di suo, ma gli stivali neri, anche se a tacco largo, la elevano ancora di più.
Per il ragazzo assomiglia a una modella in una passerella di alta moda. Ne resta ammaliato.
Quasi come se non potesse farne a meno segue la giovane donna per tutto il tragitto.
Quale potrebbe essere il tuo nome? Secondo me è qualcosa di altisonante, proprio come appari agli altri… qualcosa tipo Anastasia, Ginevra, Clotilde. Che profumo ti accompagna?
Non posso percepirlo ma sono certo che sarebbe uno speziato, fresco, con una nota di muschio? Di frutti rossi?
Non sei, però, una grande lettrice.
La ragazza svanisce dietro il tronco di un frassino.
L’attenzione di Edoardo viene però subito catturata da un’altra ragazza.
Di fisico e portamento completamente differente.
Bassa, sul metro e cinquanta. Leggermente in sovrappeso. Edoardo sentenzia che sia di origini meridionali.
Indossa dei semplici jeans a sigaretta blu e una giacca della Colmar, rosa fluo. Pessima pensa il ragazzo, mettendosi a ridere.
Ma non si tratta di una risata di scherno, esprime l’energia di un’emozione più simile alla tenerezza.
Il suo passo è lento, quasi cadente. Procede con calma.
Anna, sì, Anna, questo è il tuo nome. Non hai problemi economici, sei ancora all’università e vivi spensierata la vita. Il tuo profumo riesco a percepirlo e sono note che non avrei mai pensato: muschio, talco e… frutta secca?
Ma, ahimè, anche tu non leggi granché.
La ragazza si ferma d’improvviso, si ricorda di qualcosa. Fa una rapida piroetta e trotterella di nuovo verso l’uscita del parco.
Come attori su un palco immediatamente dopo l’uscita di scena della ragazza con il Colmar rosa fluo, ne entra un’altra di altezza media. Probabilmente la stessa di Edoardo.
Ha dei lunghi e lisci capelli neri, come Morticia Addams. Ma i suoi vestiti sono quanto di più lontano dal gotico: un largo cappotto terra di Siena aperto sul davanti lascia trasparire un dolcevita bordeaux, abbinati a dei pantaloni neri. Una borsa a tracolla color cognac e, con gran sorpresa del ragazzo, un paio di Air Jordan 1 bordeux.
Per alcuni sarà poesia del cattivo gusto, per altri comodità, per me espressione definitiva del proprio modo di essere.
Alice, Sofia.
Floreale, fresco e fruttato.
Lettrice.
Il ragazzo si alza in piedi, cammina nella direzione della ragazza, deciso, respira l’aria fresca a pieni polmoni (o almeno si immagina che sia tale) e una volta arrivato a pochi metri dalla ragazza le gira attorno, come se stesse interpretando la performance danzereccia di un musical.
Un giglio incolume e perfetto, completamente fuori stagione.
Edoardo le cammina affianco, scagliando rapide occhiate al profilo della donna. Nella borsa a tracolla intravede un libro con la copertina totalmente bianca, si avvicina per cercare di leggere il titolo.
Franny e Zooey. Magnifico.
Il ragazzo ora rallenta il passo, la ammira allontanarsi da lui. Una piccola lacrima prende a rigargli il volto.
Poi la raggiunge nuovamente, vorrebbe raccogliere nella sua la mano che pende dalle larghe maniche del cappotto, vorrebbe scostarle dal viso la ciocca di capelli ribelli che le si sono adagiati fastidiosamente su una parte del volto, vorrebbe sentire davvero il suo profumo.
Vorrebbe non aver sacrificato la sua vita solo perché l’amore per Agatha non era più corrisposto.
Vorrebbe rispondere alla domanda “se avessi avuto un’altra testa sarebbe stato diverso?”, “se fossi stato in vita e avessi parlato alla ragazza dalle Jordan bordeux sarebbe cambiato qualcosa?”.
Edoardo se lo chiede tutti gli anni a Natale. Ogni volta con una ragazza diversa.
Ma finite le feste, puntualmente, la risposta è sempre la stessa.
Non sarebbe cambiato nulla.
Non
sarebbe
cambiato
nulla.
🎅 𝓑𝓾𝓸𝓷 𝓝𝓪𝓽𝓪𝓵𝓮 𝓛𝓮𝓽𝓽𝓸𝓻𝓲 𝓒𝓸𝓻𝓿𝓲𝓭𝓲 🎄

I. G.
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