Con l'espressione metacinema s'intende quando il cinema mostra e parla di sé stesso: sono i film che descrivono i meccanismi di funzionamento del linguaggio utilizzato.
Da poco ho finito il romanzo di Stephen King Billy Summers e credo di poterlo ritenere la stessa cosa ma sulla scrittura.
La storia racconta di questo Billy, un ex marine che ora lavora come serial killer e che uccide solo persone cattive.
Arrivato ad una certa età decide di andare in pensione con un ultimo lavoro ben pagato, purtroppo ne capiteranno di tutti i colori e il finale sarà imprevedibile.
La cosa particolare e metaletteraria è il fatto che Billy, durante l’avvenire della storia, si mette a sua volta a scrivere il romanzo sulla sua vita. Raccontando della sua infanzia, di quando era un Marine e altre cose.
Troverà anche l’anima gemella e il finale sarà un crescendo di emozioni tipico di King; Con una dichiarazione d’amore, sì a un altro essere umano, ma soprattutto al mondo della scrittura e della lettura.
Ci sono numerosi riferimenti a libri favolosi, l’alternanza dello stile della scrittura di King a quella di Billy crea un connubio perfetto e ci si mangia le pagine dalla curiosità.
Lo scorso ottobre avevo fatto una fatica tremenda a iniziarlo, dopo 100 pagine volevo mollare perché mi aveva scassato le palle.
Poi qualcosa, per mia fortuna, è cambiato.
Sul finire del romanzo King tira fuori una perla di paragrafo:
«𝐕𝐨𝐫𝐫𝐞𝐢 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐞 𝐦𝐢𝐞.»
Si interrompe di nuovo e si asciuga gli occhi con la manica del giaccone. Fa freddo, ma il silenzio è meraviglioso. A quest’ora del mattino anche i corvi dormono.
«𝐌𝐞𝐧𝐭𝐫𝐞 𝐥𝐨 𝐟𝐚𝐜𝐞𝐯𝐨, 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐫𝐞…» Ha un’esitazione. Perché è così difficile pronunciare quella parola? Perché mai dovrebbe esserlo? «𝐌𝐞𝐧𝐭𝐫𝐞 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐯𝐨, 𝐦𝐢 𝐬𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐯𝐨 𝐝𝐢 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐭𝐫𝐢𝐬𝐭𝐞. 𝐌𝐢 𝐬𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐯𝐨 𝐝𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐨𝐜𝐜𝐮𝐩𝐚𝐫𝐦𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐟𝐮𝐭𝐮𝐫𝐨. 𝐌𝐢 𝐬𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐯𝐨 𝐝𝐨𝐯𝐞 𝐦𝐢 𝐭𝐫𝐨𝐯𝐚𝐬𝐬𝐢. 𝐍𝐨𝐧 𝐢𝐦𝐦𝐚𝐠𝐢𝐧𝐚𝐯𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐬𝐬𝐞 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐬𝐢𝐦𝐢𝐥𝐞. 𝐏𝐨𝐭𝐞𝐯𝐨 fi𝐧𝐠𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐟𝐨𝐬𝐬𝐢𝐦𝐨 𝐚𝐥 𝐦𝐨𝐭𝐞𝐥 𝐁𝐢𝐝𝐞-𝐀-𝐖𝐞𝐞 𝐝𝐢 𝐃𝐚𝐯𝐞𝐧𝐩𝐨𝐫𝐭, 𝐧𝐞𝐥𝐥’𝐈𝐨𝐰𝐚. 𝐓𝐮𝐭𝐭𝐚𝐯𝐢𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞𝐫𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐳𝐨𝐠𝐧𝐚, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞 𝐮𝐧 𝐩𝐨𝐬𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐦𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐢̀. 𝐑𝐢𝐮𝐬𝐜𝐢𝐯𝐨 𝐚 𝐯𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐞 𝐩𝐚𝐫𝐞𝐭𝐢 𝐝𝐢 fi𝐧𝐭𝐨 𝐥𝐞𝐠𝐧𝐨, 𝐥𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐩𝐮𝐧𝐭𝐚 𝐛𝐥𝐮 𝐬𝐮𝐥 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐞 𝐢𝐥 𝐛𝐢𝐜𝐜𝐡𝐢𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐯𝐞𝐭𝐫𝐨 𝐢𝐧 𝐛𝐚𝐠𝐧𝐨, 𝐚𝐯𝐯𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐥𝐚𝐬𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐥𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐚: 𝐈𝐆𝐈𝐄𝐍𝐈𝐙𝐙𝐀𝐓𝐎 𝐏𝐄𝐑 𝐋𝐀 𝐕𝐎𝐒𝐓𝐑𝐀 𝐒𝐀𝐋𝐔𝐓𝐄. 𝐌𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞𝐫𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐝𝐚𝐯𝐯𝐞𝐫𝐨 𝐢𝐦𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞.»
Si asciuga gli occhi, si soffia il naso, guarda il vapore bianco del suo respiro disperdersi nell’aria.
«𝐏𝐨𝐭𝐞𝐯𝐨 𝐟𝐢𝐧𝐠𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐌𝐚𝐫𝐠𝐞, 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐚𝐳𝐳𝐨 𝐝𝐢 𝐌𝐚𝐫𝐠𝐞, 𝐭𝐢 𝐚𝐯𝐞𝐬𝐬𝐞 𝐜𝐨𝐥𝐩𝐢𝐭𝐨 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐝𝐢 𝐬𝐭𝐫𝐢𝐬𝐜𝐢𝐨.» Scuote la testa come se volesse schiarirsi le idee. «𝐌𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐞𝐬𝐚𝐭𝐭𝐨. 𝐋𝐚 𝐭𝐮𝐚 𝐞𝐫𝐚 𝐯𝐞𝐫𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐮𝐧𝐚 𝐟𝐞𝐫𝐢𝐭𝐚 𝐬𝐮𝐩𝐞𝐫fi𝐜𝐢𝐚𝐥𝐞. 𝐓𝐮 𝐦𝐢 𝐡𝐚𝐢 𝐯𝐞𝐫𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐚 𝐞 𝐦𝐞 𝐥’𝐡𝐚𝐢 𝐥𝐚𝐬𝐜𝐢𝐚𝐭𝐚 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐫𝐞 𝐝𝐨𝐫𝐦𝐢𝐯𝐨. 𝐏𝐨𝐢 𝐡𝐚𝐢 𝐫𝐚𝐠𝐠𝐢𝐮𝐧𝐭𝐨 𝐚 𝐩𝐢𝐞𝐝𝐢 𝐥’𝐚𝐫𝐞𝐚 𝐝𝐢 𝐬𝐨𝐬𝐭𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐚𝐦𝐢𝐨𝐧 𝐥𝐮𝐧𝐠𝐨 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐝𝐚, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥’𝐚𝐫𝐞𝐚 𝐝𝐢 𝐬𝐨𝐬𝐭𝐚 𝐢𝐧 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭𝐚̀ 𝐞𝐫𝐚 𝐚 𝐍𝐞𝐰 𝐘𝐨𝐫𝐤, 𝐞 𝐡𝐚𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐬𝐞𝐠𝐮𝐢𝐭𝐨 𝐝𝐚 𝐥𝐢̀. 𝐀𝐧𝐳𝐢, 𝐬𝐞𝐢 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐢𝐧 𝐯𝐢𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨. 𝐓𝐮 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐯𝐚 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐬𝐢𝐦𝐢𝐥𝐞? 𝐒𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐝𝐢 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐬𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐚𝐯𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐚 𝐮𝐧𝐨 𝐬𝐜𝐡𝐞𝐫𝐦𝐨 𝐨 𝐚 𝐮𝐧 𝐪𝐮𝐚𝐝𝐞𝐫𝐧𝐨, 𝐞 𝐜𝐚𝐦𝐛𝐢𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐨? 𝐄̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐝𝐮𝐫𝐚𝐫𝐞, 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐢𝐥 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐭𝐨𝐫𝐧𝐚 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐞̀ 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭𝐚̀, 𝐦𝐚, 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐝𝐚, 𝐥𝐚 𝐬𝐞𝐧𝐬𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐯𝐢 𝐞̀ 𝐢𝐧𝐜𝐫𝐞𝐝𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞. 𝐍𝐨𝐧 𝐜’𝐞̀ 𝐧𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐯𝐚𝐥𝐠𝐚 𝐝𝐢 𝐩𝐢𝐮̀, 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐩𝐮𝐨𝐢 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐧 𝐦𝐨𝐝𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐞 𝐯𝐚𝐝𝐚𝐧𝐨 𝐞𝐬𝐚𝐭𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐯𝐮𝐨𝐢 𝐭𝐮, 𝐞 𝐢𝐨 𝐯𝐨𝐠𝐥𝐢𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐭𝐮 𝐬𝐢𝐚 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐯𝐢𝐯𝐨, 𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐢𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐥𝐨 𝐬𝐞𝐢 𝐞 𝐥𝐨 𝐬𝐚𝐫𝐚𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞.»
Da bambino avevo tre miti, tre figure che avrei voluto essere da grande: il poliziotto, il medico e lo scrittore.
La mia esperienza con la scrittura è partita con i soliti Geronimo Stilton e Piccoli Brividi.
Le medie sono state un periodo devastante in cui avevo smesso di credere nelle mie capacità di scrittura, leggevo con la convinzione che nella mia vita non avrei mai tirato fuori nulla di lontanamente paragonabile a una bella storia da raccontare.
Semplicemente non era una cosa che ero davvero in grado di fare.
Ma con il liceo, Dio grazia, è cambiato tutto.
Merito soprattutto della prof. di italiano che ci spronava a sprigionare la nostra creatività letteraria senza giudizi.
Lì ho ritrovato quel brivido di inventarsi realtà di fantasia, lì ho capito che era uno dei modi più validi per riuscire a mantenere in vita il bambino che era in me senza restare infantile.
I mondi di cui scriviamo non possono essere disfatti da nessun’altro se non da noi stessi.
È forse sì una finta forma di autoconservazione, ma è anche una terapia impareggiabile. Non esiste NULLA di così potenzialmente libero come la scrittura.
Crescendo poi è diventata via via una cosa che ho preso sempre più seriamente; ho avuto anche la fortuna di incontrare le figure giuste, nel momento giusto, e che mi hanno permesso di settare al meglio la capacità e il gusto di raccontare storie.
Non so se questa cosa dello scrivere diventerà mai un lavoro, non so se riceverò mai un riconoscimento per ciò che scrivo, magari tra un secolo qualcuno troverà un post del mio blog e dirà “ma che è sta merda?”.
Ma non è per queste cose che scrivo, lo faccio per le stesse ragioni di cui ha parlato Alice sopra: "[…] 𝐌𝐞𝐧𝐭𝐫𝐞 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐯𝐨, 𝐦𝐢 𝐬𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐯𝐨 𝐝𝐢 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐭𝐫𝐢𝐬𝐭𝐞. 𝐌𝐢 𝐬𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐯𝐨 𝐝𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐨𝐜𝐜𝐮𝐩𝐚𝐫𝐦𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐟𝐮𝐭𝐮𝐫𝐨. 𝐌𝐢 𝐬𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐯𝐨 𝐝𝐨𝐯𝐞 𝐦𝐢 𝐭𝐫𝐨𝐯𝐚𝐬𝐬𝐢. 𝐍𝐨𝐧 𝐢𝐦𝐦𝐚𝐠𝐢𝐧𝐚𝐯𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐬𝐬𝐞 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐬𝐢𝐦𝐢𝐥𝐞.
[…]
𝐓𝐮 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐯𝐚 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐬𝐢𝐦𝐢𝐥𝐞? 𝐒𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐝𝐢 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐬𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐚𝐯𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐚 𝐮𝐧𝐨 𝐬𝐜𝐡𝐞𝐫𝐦𝐨 𝐨 𝐚 𝐮𝐧 𝐪𝐮𝐚𝐝𝐞𝐫𝐧𝐨, 𝐞 𝐜𝐚𝐦𝐛𝐢𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐨? 𝐄̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐝𝐮𝐫𝐚𝐫𝐞, 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐢𝐥 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐭𝐨𝐫𝐧𝐚 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐞̀ 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭𝐚̀, 𝐦𝐚, 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐝𝐚, 𝐥𝐚 𝐬𝐞𝐧𝐬𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐯𝐢 𝐞̀ 𝐢𝐧𝐜𝐫𝐞𝐝𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞. 𝐍𝐨𝐧 𝐜’𝐞̀ 𝐧𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐯𝐚𝐥𝐠𝐚 𝐝𝐢 𝐩𝐢𝐮̀, 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐩𝐮𝐨𝐢 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐧 𝐦𝐨𝐝𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐞 𝐯𝐚𝐝𝐚𝐧𝐨 𝐞𝐬𝐚𝐭𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐯𝐮𝐨𝐢 𝐭𝐮…"
Quando ho ricevuto delusioni lavorative, d’amore o quando le cose andavano male con la salute di qualche caro mi gettavo nei mondi della mia fantasia ed era come farsi una canna e ingerire valium nello stesso momento.
Pace dei sensi, odio per altri esseri umani svanito, aggressività ritornata sotto controllo, tutte le persone care in perfetta salute.
Io la chiamo magia perché credo che sia davvero l’unico termine per definirla 🥺
Barone Canavese - giovedì 30 giugno 2022
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