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Quell'anno in biblioteca...

Da sinistra: Martina Freisa, Danièle Moucadel, Ombretta Ferioli e Igor Gribaldo


Quello che segue è il testo che ho scritto per l'ultimo episodio del podcast Radio Biblioteca Mottini




Queste parole le ho scritte alle 4:30 di una mattina di giugno in cui non riuscivo a riprendere sonno dopo essermi svegliato:


Ho iniziato l’anno di servizio civile con il mio amico Pierluigi in vita.

L’ho finito con lui che è scomparso da ormai sei mesi.


Pierluigi l’avevo conosciuto quando avevo circa 13-14 anni, era un collega di lavoro di mio padre che si rivolgeva a me ogni qual volta gli si presentava un problema con il cellulare o il computer.

Fin dall’inizio avevamo legato per una cosa: la passione per gli Stati Uniti.

Lui c’era stato diverse volte e adorava i motorsport, gli spazi grandi, tutti i panorami della terra sotto la stessa bandiera e la capacità di sognare con il sapore dei film di Spielberg e George Lucas.

Pierluigi è stata una delle prime persone esterne alla mia famiglia a credere davvero in me.

Ogni volta che mi vedeva mi ricordava che un giorno me ne sarei dovuto andare da qui, dal Canavese, che dentro di me c’era qualcosa di ben più grande da condividere con il mondo e che se fossi rimasto qui sarebbe andato sprecato.

Sapete bene quali sono i miei mentori: Stephen King, Alessandro Del Piero, Peter Jackson. E poi la vita mi ha dato Pierluigi, un mentore particolare.

Immaginatevi avere quattordici anni, pieni di brufoli, nerd, adorate le ragazze ma non ce n’è una che vi caga e allora cosa fate?

Vi rifugiate in quel luogo sicuro che è la Fantasia.

Videogame, libri, film. Conoscete la storia, ormai è sdoganata.

Ma immaginatevi che in quel momento arrivi qualcuno di sconosciuto a dirvi che valete molto più di quello che credete (e non è che vi dice sta cosa dopo aver visto una qualche abilità particolare), a forza di ripetervelo inizierete a crederci, e quando una qualche particolare abilità a cui siete propensi si paleserà, non sarà più solo una credenza (quella di essere meritevoli) ma diventerà una certezza.

Gigi è rimasto nella mia vita per sedici anni.

Ci vedevamo una decina di volte all’anno, per lo più come vi dicevo, per mettere a posto smartphone e computer.

Eppure quei momenti erano un piccolo spazio senza tempo. Gli raccontavo di come il mio percorso scolastico e lavorativo si stava evolvendo: gli anni in cui non riuscivo ad entrare a medicina, quel primo anno di Filosofia a caso, l’inizio dell’Albertina, la prima laurea, la seconda, l’evento culturale con ospiti dagli Stati Uniti, la possibilità di andare a lavorare a New York. What, ecco che la sua previsione si stava avverando.

Era orgoglioso e contento, “vedi, vattene da qui”.

Poi però la vita non è una favola, l’offerta di lavoro a New York l’ho declinata perché avrebbe significato lavorare a stretto contatto con una persona che era esattamente l’opposto di Gigi: un cattivo travestito da mentore.

E così, dopo aver ripreso in mano la mia attività da fotografo e videomaker ho deciso di affiancarci anche un anno di servizio civile. Avevo bisogno di coccolarmi nel mio territorio, e di ridare già qualcosa con quello che avevo appreso in quegli anni di formazione.

A Gigi è dispiaciuto, ma in cuor suo era convinto che il mio fosse solo un arrivederci agli Stati Uniti e non un addio.


Però poi l’addio l’ho dovuto dare a lui.


Mi capita spesso di pensarci, alla morte. Come puoi non farlo se il tuo scrittore preferito ha detto “Se fare il ragazzo significa imparare a vivere allora fare l'adulto significa imparare a morire.”

E allora si cerca conforto in qualcosa.

Ho abbastanza presunzione da voler provare a dare parole di conforto a quei giovani che magari non se la stanno passando bene con la propria autostima:

Ci sono persone il cui percorso di studi o lavorativo è una linea perfettamente retta, con tutti i tasselli al loro posto senza particolari drammi.

Poi c’è che invece fatica di più, per i più svariati motivi (vuoi perché si matura tardi, o per motivi economici, di sfortuna, insomma possono essere varie le motivazioni).

Quando lo scorso novembre Ombretta, Martina ed io siamo andati a parlare ai ragazzi di quarta e quinta del Liceo Martinetti ho deciso di basare il mio breve intervento proprio su questo: il sentirsi fuori tempo e la possibilità di sbagliare. Mi è parso di avere l’attenzione degli studenti grazie a quelle parole. Perché è troppo facile parlare di una persona a cui tutto è filato liscio, poche volte vengono presi da esempio quei percorsi più tortuosi.

Ecco, una volta una persona mi ha detto “io non ho mai avuto un Gigi che a quattordici anni dicesse che valevo molto più di quello che credevo, la tua è stata una fortuna importante, mi sarebbe servito”

Beh, sarà banale e scontato ma spero che alla luce della mia esperienza quello che sto per dire vi possa essere utile per davvero: valete molto più di quello che credete, per trovare il vostro posto nel mondo non c’è bisogno che troviate per forza quella cosa per cui siete assolutamente i più bravi, perché poi non è detto che sia davvero la cosa che amiate fare.

Con le vostre possibilità esplorate ciò vi piace ma sfidatevi anche su terreni che non sentire vostri. Non potete sapere da dove può nascere un’opportunità.


Come ho detto prima, ho scritto queste parole alle 4:30 del mattino, ora sono le 7 e mi devo alzare. Ho lo sguardo ebete come Richard Dreyfuss nel finale del film Stand By Me, in testa ho l’immagine della prima volta in cui ho conosciuto Pierluigi, era nello stesso bar di Caluso in cui Ombretta, la nostra OLP, ci ha offerto numerosi croissant e caffè in questo anno di servizio civile.


Voglio parlare ancora di Ombretta e Danièle e dell’associazione che gestisce la biblioteca, poi giuro che mi zittisco.

La canzone che definirà per sempre il mio anno in biblioteca è In My Life dei Beatles, i suoni sono pura nostalgia e il testo è un pezzo di dura verità:


Ci sono luoghi che ricorderò

Per tutta la mia vita, benché alcuni siano cambiati

Alcuni per sempre, non in meglio

Alcuni non ci sono più, altri rimangono

Tutti questi luoghi hanno i loro momenti

Con amanti e amici che ricordo ancora

Alcuni sono morti e altri sono vivi

Nella mia vita, li ho amati tutti.


Nel 2023 la mia ragazza mi dice “ma perché non provi a candidarti per il servizio civile digitale? Hai 28 anni, è l’ultimo anno che puoi farlo”

Mi son detto “perché no?”

Invio i documenti e mi candido a Caluso.

Risultato?

Non selezionato.


Allora la mia ragazza Elena mi dice “ma perché non provi a candidarti al servizio civile universale in biblioteca? Hai 28 anni, è l’ultimo anno che puoi farlo”

Mi son detto “perché no?”

Invio i documenti e mi candido alla biblioteca di Montalenghe.

Risultato?

Non selezionato.


La differenza però questa volta era che potevo essere ripescato per altre biblioteche.

Così inizio a chiamarle per informarmi.

E nel maggio del 2024, dopo aver rotto l’anima anche con le email, parlo per la prima volta con Danièle, la nostra responsabile in Comune. “Abbiamo girato tutto alla Città Metropolitana, ti faremo sapere”.

Io, ovviamente ero già deluso, convinto che sarei stato scartato anche sta volta.

E invece?

Selezionato.


Il 26 giugno 2024 mi presento nel Comune di Caluso e faccio per la prima volta la conoscenza di persona di Danièle, Ombretta e Martina.

Da lì è partita una corsa: dal lunedì al venerdì in biblioteca e nel weekend i lavori con la mia attività di fotografo (tra cerimonie, spot televisivi ed eventi sportivi).

Ottobre, novembre 2024 e maggio 2025 sono stati i mesi più pazzi. Una valanga di attività con le scuole in biblioteca, la formazione del servizio civile a Torino e dei viaggi all’estero per alcuni lavori nel weekend.

Però ne è valsa la pena, rifarei ogni singola scelta.

Come ho ripetuto più volte, il servizio civile che ho fatto nella biblioteca di Caluso mi ha permesso di coprire tutto lo “spettro dell’umanità”, ossia abbiamo avuto modo di fare attività con i bambini (da quelli davvero di pochi anni fino a quelli delle elementari), con gli adulti (maratone di scrittura e reading party) e con gli anziani (attraverso le attività cognitive). Entrando in contatto così tante volte con bambini e anziani (avremo fatto, a occhio e croce, una ventina di attività in RSA e una trentina di laboratori con i bambini) uno non può non iniziare a riflettere sul percorso che ciascuno di noi deve compiere. Dalle prime scoperte fino ad arrivare alle malattie che ci portano ai titoli di coda della nostra esistenza. Nei primi mesi questa cosa ovviamente non era venuta, ho maturato e ho iniziato a fare caso a quanto stessi accrescendo la mia umanità solo verso aprile del 2025, quando avevamo iniziato a renderci conto che di lì a pochi mesi il nostro servizio civile si sarebbe concluso. Mi sono guardato indietro e ho sospirato “phiuuu” ma quanta roba abbiamo fatto?


Ho scelto di fare il servizio civile principalmente per due motivi: fare attività in biblioteca e imparare ad interagire con i bambini attraverso la creatività. Volevo capire se avessi ancora accesso alla mia fantasia e se non avessi perso la capacità di stare in loro compagnia.

Per entrambe le motivazioni ho avuto una risposta positiva: ho organizzato, assieme a Martina, più di dieci eventi per adulti in biblioteca e ho giocato con la fantasia un sacco di volte con bambini di ogni età.

A volte è stato un po’ faticoso e ogni tanto ho dovuto metterci della pazienza, ma giuro non poteva andare meglio.


Prometto di essere arrivato alla fine.

Sono convinto che il servizio civile avrà davvero valore nella mia vita e nella mia formazione solo tra un paio d’anni. Sono state un susseguirsi di emozioni forti a cui ad una certa è come se ti abituassi per “sopravvivere”, ci vuole il Tempo per digerire tutto. Sono certo che tra qualche anno riguarderò le foto in biblioteca, in compagnia di Ombretta, Danièle e Martina, in compagnia dei bambini del mercoledì e con gli anziani ospiti dell’RSA di Caluso e mi dirò “lì ho acquisito tanta saggezza, davvero tanta”.

Sono anche convinto che, per quanto mi riguarda, se avessi fatto il servizio civile prima (a vent’anni o venti cinque) non mi sarebbe mai servito come mi è servito ora. Non avrei apprezzato tutte le opportunità che mi si sono presentate grazie a questa esperienza. E probabilmente non le avrei sapute valorizzare.

Prima di salutarvi voglio fare una piccola polemica, quando alle persone dicevo che stavo facendo servizio civile avevo principalmente due risposte:


  1. Non volevi fare il militare?

  2. Non hai abbastanza lavoro con la tua attività?


Io a entrambi spiegavo che il servizio civile di oggi non è più quello di una volta e che le ragazze e i ragazzi che scelgono di fare il servizio civile non sempre lo scelgono perché sono confusi sulla propria vita o perché vogliono solo aver un’entrata extra. A volte capita che si scelga intenzionalmente un certo tipo di attività perché ne si coglie la opportunità che ne possono nascere se le cose vengono fatte come si deve. E, perdonate la franchezza e la punta di presunzione, ma credo che io e Martina ne abbiamo dato prova.



Il servizio civile è come se fosse un’opera teatrale, si ha modo di indossare i vestiti di un'altra persona, di un'altra professione per un anno intero e staccare da tutto ciò che si è conosciuto prima. È un modo per evadere dalla noiosa routine ed è un modo preziosissimo di sfidarsi su terreni a cui non potreste accedere altrimenti.

Voglio ringraziare prima di tutto la mia compagna di viaggio Martina, grazie per tutto il supporto alle attività che proponevo, grazie per la pazienza che hai avuto verso di me (so che spesso posso essere pesante) e grazie per tutti i bei confronti su cosa significa avere  la nostra età nel 2025.

Grazie a Danièle per le splendide idee che ci hai suggerito nel corso dell’anno (quelle che resteranno per sempre nel mio cuore sono l’idea del podcast e il caviardage, due cose che ho letteralmente adorato fare) e grazie per l’immenso aiuto che ci hai dato nella burocrazia dei nostri documenti.

Infine grazie a Ombretta, per essere stata la nostra guida durante le attività e anche un po’ nella vita di tutti i giorni (e anche grazie mille per tutti i croissant e caffè che ci hai offerto). Sia da te che da Danièle abbiamo imparato tanto e sono certo che ci avete reso degli adulti migliori di quello che saremmo stati se non vi avessimo conosciuto.

Leggere queste parole mi porta sempre ai lacrimoni, sono sollevato che questo viaggio finisca perché per me stava davvero diventando difficile tenere questi ritmi in contemporanea alla mia attività. Ma di sicuro una parte di me, avrebbe voluto che questa esperienza diventasse la mia professione da qui alla fine.



Chiudo citando uno dei miei film preferiti:


“Non vi dirò ‘non piangete’, perché non tutte le lacrime sono un male...”




I. G.

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