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𝕄𝕖𝕟𝕥𝕠𝕣








La consegna

Scrivete una vostra piccola biografia, con gli elementi clou che vi hanno trasformato.

Nella biografia bisogna parlare delle tre persone “simbolo” che vi hanno fatto cambiare di più.




Zamu (@mister.zamu)



UN CONTROSENSO ERETICO Ciao, io mi chiamo Samuel, per gli amici, Zamu, sono agnostico, ma le persone piú importanti della mia vita ruotano tutto attorno all’ambito religioso, comico vero? Iniziamo con le prime!

TERESA E DELIA, L'UMANITÀ

Cerone è un piccolo paese con 500 abitanti, caratterizzato dalla tranquillità delle balle di fieno e da un torrente immerso nella natura. Le opportunità di socializzazione sono limitate, quindi bisogna frequentare l'oratorio o altri centri come le ludoteche. Per questo, due luoghi sono stati molto importanti per la mia formazione, che ricorderò sempre con nostalgia e rammarico: Casafavola e l'oratorio di Cerone. Il primo si trova proprio all'inizio del paese ed è un luogo di partite interminabili a calcio, dove i ragazzi volano sul campo con la loro ingenuità e voglia di vivere. Ci sono cacce al tesoro in giro per il paese, che fanno scoprire tesori nascosti sotto i nostri occhi o i giochi nelle piazze, che rappresentano un simbolo del passato, un senso di comunità che sta scomparendo. Tuttavia, l'oratorio non è solo sinonimo di gioco, ma anche di momenti di riunione, preghiera e riflessione, e in questi momenti è sempre stata essenziale la figura di Teresa, la capa dell'oratorio. Teresa ha un caschetto di capelli neri, due occhi lucenti e un sorriso penetrante. Con le sue riflessioni e le sue storie, è sempre riuscita a riscaldarmi il cuore, donandomi una visione positiva e serena del mondo. Il punto culminante del suo insegnamento si è verificato durante un raduno tenutosi in Valle d'Aosta, in una casa di montagna isolata nella natura, che ha ospitato tre giorni di riflessione e preghiera. Ricordo ancora la spensieratezza delle partite di calcio in montagna, le passeggiate nella natura e un senso di comunità che raramente ho provato. In questa esperienza, Teresa ha dato il massimo di sé stessa, insegnandomi molto sulla natura umana, tutte quante le sue sfaccettature. Mi ha insegnato una metafora bellissima che non dimenticheró mai: il nostro cuore, è come una bellissima casa che si erge dentro di noi. Questa casa è suddivisa in stanze, e ognuna di esse rappresenta una persona. Più trascorriamo tempo con una persona, più la stanza diventa bella e colorata. Si arricchisce di mobili, ricordi, colori, più facciamo esperienze con una persona, più la stanza diventa meravigliosa. La vita ha senso se creeremo la nostra bellissima casa ogni giorno!

Passarono gli anni, l'esperienza all'Oratorio non mi piacque, ma a causa di alcuni episodi negativi decisi di abbandonare l’oratorio di Cerone. Decisi quindi di trascorrere il mio tempo libero a Romano Canavese, uno dei posti più magici della zona, presso Casafavola. Era come un sogno, una casa ricca di giochi e abitata da una delle famiglie più affascinanti che avessi mai conosciuto. Ricordo ancora la strada che percorrevo da casa mia fino a Casafavola, una lunga salita nel bosco, una strada la cui pavimentazione era composta da ciottoli di pietra, che portava al centro di uno dei miei paesi preferiti, Romano Canavese. Spesso mi chiedevo quanto fosse antica quella strada e se centurioni l'avessero mai percorsa.

Casafavola organizzava un centro estivo, in cui per anni ho lavorato come animatore, finché non ha smesso l'attività. Con grande gioia ricordo le gite alla piscina di Cigliano, anche con il furgone arancione di Casafavola, e le grandi tavolate con i bambini. Va menzionato anche il contributo di Delia e di altri animatori nella creazione di giochi. In questo caso, Il centro estivo si svolgeva nella scuola di Romano Canavese, circondata da un bel giardino. Credo che in quel contesto abbia vissuto alcuni dei momenti più belli della mia vita, ricchi di giochi e felicità. Ero costantemente colpito dalla umanità di Delia e dai suoi insegnamenti.


Delia rappresentava un'icona di Casafavola, la figura centrale in grado di gestire e far funzionare tutto. Ogni suo discorso era intriso di umanità e bellezza interiore. Delia era come un fiore straordinario, il faro di ogni mare, quel collante che ti faceva superare ogni situazione negativa. Non so se nella mia vita ho mai incontrato una persona così forte come Delia. Ma so che mi ha fatto capire molte caratteristiche di un leader gentile e vincente.

Grazie a Casafavola ho vissuto uno dei ricordi piú belli, il primo momento in cui mi sono sentito grande. Era stata la serata animatori alla Senorita di Candia, uno dei pub piú caratteristici del canavese, luogo in cui ci torneró diverse volte e diventerá una parte essenziale della mia adolescenza e maturità. In questa serata, abbiamo riso, ci siamo confrontati con animatori più grandi e abbiamo fatto dei giochi. Quella serata, per me, rappresenta quasi un momento di passaggio, una delle mie prime serata con adulti. Il primo passo prima di entrare nel mondo dell’adolescenza e delle serate tra amici. Delia come al solito aveva reso la serata magica e indimenticabile, diventando con Teresa, fonte di maturitá, umanità e crescita.


Purtroppo, tutte le cose belle hanno una fine e il centro estivo di Casafavola chiuse i battenti. Ricordo quel momento come uno dei più tristi della mia vita. Per me, quei momenti estivi erano diventati come una seconda casa, un periodo di formazione in cui stavo crescendo. Un modo di conoscere nuove persone della comunità.



NASCERE DALLE CENERI, TRENTADUE DENTI

Può un incontro modificare così profondamente la nostra vita, anche se avviene in modo molto rapido? Per me è stato così. Dopo l'esperienza a Casafavola, ho cercato di tornare all'oratorio di Cerone e dare una seconda possibilità a questo luogo. È stato qui che ho fatto un incontro straordinario. Come ben sapete, la droga può causare danni, distruggere vite e mettere fine a esistenze intere. Tuttavia, quella sera ho scoperto che ci sono sempre nuovi modi per cambiare la propria vita.


Durante una riunione degli animatori in un piccolo paese del Canavese, ho conosciuto uno dei responsabili dell'oratorio, un ex tossicodipendente che era stato consumato dalla droga negli anni precedenti. Nonostante questo, grazie alla sua fede nel Signore e nella religione, aveva trovato un nuovo scopo nella sua vita. La gioia che emanava, insieme al suo sorriso, era qualcosa di straordinario. Trasmetteva un'energia vitale che poche persone erano riuscite a darmi. Nonostante il suo passato e tutto ciò che aveva affrontato, era riuscito a risorgere e ora aveva trovato la gioia e una seconda possibilità grazie a una nuova strada.


Ricordo ancora gli occhi colmi di gioia, il suo sorriso a trentadue denti. La sua mano si muoveva delicatamente sulla sua chitarra, mentre la sua voce cantava in modo avvolgente, come il miele che si insinua nel cervello. Quella serata è stata una delle esperienze più paradisiache che abbia mai vissuto. Ho imparato una cosa importante quella notte: è davvero possibile risollevarsi da qualsiasi difficoltà, se si desidera farlo.


IL MIGLIORE PROFESSORE, FEDERICO

Le superiori rappresentano un periodo di crescita, riflessione e, direi, di vera e propria maturazione. Per me è stato il periodo più bello della mia vita. Tra amori, hobby e amicizia. Ho fatto corsi di karate, di teatro, ho aperto dei canali youtube. Ho avuto due dei gruppi di amicizia piú belli della mia vita. Ho vissuto i miei primi amori. Non ho mai avuto per adesso un periodo così bello come quello delle superiori. In cui mi sentissi così ricco e realizzato. E non so, se ne avró mai di simili, anche per la spensieratezza in cui ero immerso. In questo periodo ho avuto la fortuna di avere un professore straordinario, Federico. Sebbene fosse il professore di religione, svolgeva un ruolo molto più ampio, fungendo da formatore, icona e esempio. Ricordo ancora il suo carrellino con la TV, i film e i libri che spingeva ogni giorno con il suo passo lento e gentile. Ogni sua lezione era come una perla che, piano piano, componeva il mio tesoro interiore.


Conoscere Federico era come aprire una porta verso mondi meravigliosi, capaci di arricchire il nostro mondo interiore. È stato una delle persone più straordinarie che abbia mai incontrato. Ha contribuito a formarmi sulle questioni dei conflitti attuali e sull'importanza di "Carpe Diem", ossia cogliere le occasioni. Grazie a lui, abbiamo esplorato film bellissimi, da "Little Miss Sunshine" a "Going into the wild". All'interno di sé, quell'uomo custodiva una vera e propria biblioteca di conoscenze e bellezze ed è stato in grado di formare e influenzare generazioni di persone, educando al gusto e alla vita, senza limitarsi solo alla religione. Per tutti noi, è stato quasi come un secondo padre, capace di trasmetterci la linfa vitale.


Tuttavia, molte storie straordinarie finiscono con un epilogo sgradevole, e una delle perle più luminose del mondo si è spenta, ancora relativamente giovane. Il cancro è una malattia che talvolta ci sottrae le persone migliori. Anche se Federico non è più tra noi, i suoi insegnamenti rimarranno sempre dentro di me. Come diceva Teresa, sarà sempre una bellissima stanza nel mio cuore!


Grazie a Teresa, Delia e Federico per avermi insegnato tanto!





Mauro (@Mauro Rondoni)


Autobiografia di Mauro


Sono nato a Chivasso nel 1964 e dopo aver trascorso l’infanzia nel paese natio, ho vissuto la mia adolescenza in una porzione di casa ricavata dalla vecchia dimora rurale dei nostri avi, a San Raffaele Cimena, non distante da Chivasso. La mia famiglia fu l’ultima a sistemarsi lì fra tutti gli altri zii, zie e cugini vari, ed era il lontano 1976.



Paola, il mio primo bacio.

A quel tempo i televisori erano in bianco e nero e per cambiare canale ci si doveva alzare dal divano. Non c’erano gli smartphone, per telefonare da fuori casa serviva il gettone, le auto elettriche poi, erano più futuristiche di Spazio 1999. In quel mondo, in cui i social erano ancora da inventare e per mandare un saluto da un luogo lontano si spediva una cartolina, facevo parte di una combriccola di vivaci ragazzini provenienti tutti dallo stesso ceppo familiare materno, i nonni Maria ed Andrea. Eravamo in sei, provenienti da tre famiglie diverse ma collegate tra loro per via parentale, un genitore di ciascuna famiglia era fratello o sorella per cui, tutti cugini. A parte me c’erano mia sorella Silvana, le due sorelle Stella e Manuela, infine Paola con il fratellino Giorgio, il più piccolo e rompicoglioni di tutti. Lei, viso rotondo e bianco come la luna guarnito da capelli lunghi e biondi colorati dal grano maturo di luglio. Sotto la frangia, due grandi occhi azzurri intensi, assoluti che a fissarli quasi ti disorientavano. Eravamo soliti a giocare in cortile al dopo cena ma di stagione in stagione, vedevo i nostri corpi cambiare, soprattutto quello delle mie cugine. Guardavo di sottecchi le curve importanti e generose di Paola danzare innanzi ai miei occhi rincitrulliti. Spesso mi soffermavo sulle asole in tensione della sua camicia. Dio mio quanto avrei voluto sprofondare il viso lì, abbandonarmi e addormentarmi per mille anni in quel pensiero meraviglioso. Dai giochi di cortile con tutta la banda, ci ritrovammo soli a fantasticare sul nostro divenire rinforzando involontariamente intimità e rispetto. Una sera di aprile parlando delle nostre solite fantasie sul futuro, un audace pensiero mi attraversò la mente. Avvertii il cuore accelerare di colpo le pulsazioni, così forte che mi sembrava volesse addirittura uscire dal torace. Sentivo la pelle friggere come quando andavo nell’orto a cavare i vermi per la pesca. Non sapevo più cosa dirle, ma sapevo perfettamente ciò che in quel preciso momento volevo fare. Forse quello strano desiderio lo avevo covato da tempo, custodito e alimentato nel più profondo dell’animo ma ora non avevo più alcun dubbio: volevo baciarla. Sì, lo volevo con tutte le mie forze, e sentivo di desiderarlo ora più che mai, anche se non sapevo bene come cominciare. Non avevo ancora baciato una ragazza. Cercai ugualmente di persuadermi dall’idea di farlo, pensando a come avrebbe reagito. Ma un coro di voci fuori campo mi ragliò contro.

“Dai, baciala! Ti vuoi muovere? Fallo e basta!” Forse era soltanto il mio desiderio ardito ad incitarmi. Non so ancora come, ma ebbi l’audacia di prestare ascolto alle voci. Avvicinai lentamente il mio volto al suo, ero sempre più vicino. Anche il suo respiro si era fatto rumoroso, agitato, e sentendo sulla faccia il suo alito fresco, avvertivo la ragione appannarsi, abbandonarmi velocemente. Mi avvicinai ancora, fino a quando non appoggiai finalmente le mie labbra sulle sue. Ero impacciato, imbarazzato ma era ciò che aspettavo da secoli. La baciai timidamente, con delicatezza liberando il mio desiderio tenuto fino a quel momento al riparo. La testa annebbiata mi girava forte. Tutto attorno a me girava forte, ma per nulla al mondo mi sarei diviso da quel contatto. Quel bacio, da allora è conservato gelosamente nello scrigno dei miei sentimenti e la chiave per aprirlo è semplicemente costituito da bacia solo chi ami.



Remo, le mie radici.

Mi è sempre piaciuto correre a piedi. Già da bambino correvo ovunque solo per il gusto di correre. E così correvo un settembre del 1981 lungo una strada di campagna quando incontrai un vecchio che correva come me ma nel senso opposto al mio. Chissà perché quando sei ragazzo i grandi sono tutti vecchi. Quando ci incrociammo mi salutò con un sorriso e mi chiese se volessi fare un pezzo di strada con lui. Remo, operaio Lancia di un paio d’anni più vecchio di mio padre correva tutte le sere. Accettato l’invito, in quel tratto ci chiedemmo cosa ci portasse ad uscire di casa sebbene ci fosse luce o buio, caldo o freddo oppure sole o pioggia, il tutto per rientrare a casa stanchi e sudati marci.

Al mio -Corro perché mi piace e basta- lui parlò per oltre tre chilometri. Con occhi accesi, mi disse che la corsa a piedi non è solo movimento coordinato di gambe, braccia e respiro, e neppure una competizione volta a migliorare tempo e lunghezza percorsa. Mi disse che correre è guardarsi attorno, conoscere i luoghi ed instaurare un legame. Correre è ascoltare e conoscere il proprio corpo, mi disse che correre è una attività liberatoria e che dona alla propria mente e al proprio spirito, tutto ciò di cui una persona ha bisogno: benessere. Da quel pomeriggio, l’appuntamento divenne fisso. Correvamo insieme lungo stradine, fiumi, boschi e sentieri sempre diversi e sempre senza orologi o auricolari, ascoltando il proprio respiro e godendo della natura attorno che le nostre gambe riuscivano a farci scoprire.

Le sue parole dette in quei tre chilometri, mi tornavano sempre in mente durante le nostre corse così, di volta in volta, mi sembrava di percorrere le arterie della mia terra. Attraversando la sua anima per intero scoperchiavo ogni angolo scuro, sconosciuto. Io la sentivo accogliermi amorevolmente. Al mio passaggio avvertivo l’apertura delle sue lunghe braccia ed infilandomi dentro avevo la sensazione di sentirmi avvolto come un amante che avvolge il proprio amato. Con essa instaurai giorno dopo giorno un rapporto sempre più confidenziale e famigliare. Con essa affondai completamente nel terreno il mio intimo io diffondendo in un istante le radici, le mie radici che penetrarono per sempre e sempre più, nel profondo di quella terra. Vie, strade, sentieri di campi e boschi, anche quelli più impervi ed inaccessibili, conoscevo ormai tutto della mia terra, e ovunque mi trovassi, mi sentivo accolto e a casa.

Anche ora, in questo lontano presente dove Remo starà correndo in una strada di quell’ignoto che nel mondo dei vivi ancora nessuno conosce, quando dopo giorni di assenza mi trovo a percorrere la via del ritorno, nel vedere da distante il contorno delle mie colline mi assale la confortante sensazione d’essere finalmente arrivato a casa, a casa mia.



Roberta, lo scrigno dei miei sentimenti.

Ottobre 2022, internet, smartphone, social, app, i giorni dell’immediato. In uno schermo da 5” acceso tenuto in mano hai il mondo con te ma spento, sei solo con il tuo bagaglio. Ho vissuto gli ultimi anni nel labirinto dei miei silenzi ed ora ho solo voglia di buttare fuori tutto ciò che ho trattenuto per una vita intera, ma non so da che parte iniziare. Così, sollecitato da una persona cara, mi ritrovo su un social per incontri malgrado i miei pregiudizi radicati. Immagini, slogan ed il pollice sullo schermo che si muove verso sinistra se non c’è alcun interesse o verso destra se qualcosa ti ha colpito ma non sai bene cosa. Poco convinto che questo fosse il canale giusto per instaurare un percorso di conoscenza e di crescita reciproca basato su quei sentimenti che da anni ho richiuso nello scrigno, racconto a chi mi risponde la mia intima storia personale fatta di sofferenza ma fatta anche di voglia e di riscatto. Trai i pochi messaggi in risposta degni di nota, uno mi sorprende, quello di Roberta. Inizia così una corrispondenza e messaggio dopo messaggio, mi accorgo di volerle raccontare tutto di me con la voglia irrefrenabile di raccontare per il solo gusto di raccontare a me stesso. Continuiamo a scriverci, non conosco la sua voce, non conosco nulla di lei se non qualche frammento della sua vita e lei della mia, ma l’incontro lo sento, lo percepisco come un incontro di anime e vorrei crescesse indipendentemente da ciò che sarà il futuro perché comunque ne sarà valsa la pena. Quando le scrivo, mi sento costantemente nudo davanti ad uno specchio trasparente che ha la capacità di farmi leggere e rispecchiare senza vergogna alcuna, mi sento a mio agio.

Finalmente fissiamo un appuntamento per vederci. Arrivo senza aspettative con qualche minuto di ritardo, lei è già lì. La vedo come vedo le decine di persone che passeggiano lungo le vie o che sono sedute sulle panchine. Penso di essere refrattario. Dopo i convenevoli, passeggiamo mescolandoci tra la folla chiacchierando un poco. È una bella giornata di sole, così ci sediamo fuori da un bar impersonale ed ordiniamo qualcosa continuando a chiacchierare. Penso di essere refrattario. Riprendiamo a camminare tra la folla pensando che domani andrò a farmi un giro in montagna per conto mio. Lei si ferma mi guarda e mi chiede se possiamo rivederci il giorno dopo. È solo in quel preciso istante che mi accorgo del suo sguardo e mi accorgo di lei.

Trovo quello sguardo seducente perché le dona un’espressione attraente, magnetica, di appello verso quei sentimenti che sentivo perduti e che avevo richiuso nel mio scrigno. Uno sguardo semplice ma che richiama allo sguardo reciproco, di intesa ed intima armonia, ideale in quel preciso momento per me, che di colpo non avevo più voglia di stare in un angolo per conto mio. Da quell’istante, continuo a riflettermi e a riconoscermi dentro il suo sguardo e ci amiamo. Ci amiamo come vogliamo essere amati e nel modo in cui lo vogliamo e forse, come lo abbiamo sempre desiderato e rincorso. Ci amiamo con profondo rispetto reciproco e con quell’attenzione unica che restituisce il giusto valore alla persona amata. Ci amiamo come ciascuno ama sé stesso e come ciascuno si prende cura della propria anima.

Voglio continuare ad incantarmi davanti a quello sguardo così come mi incanto innanzi al profilo delle mie colline perché è lì che mi riconosco ovunque io sia, tutto il resto è contorno che blinda e suggella quella mia segreta sensazione di casa.




Andrea (@andre_anzi)


Biografia di Andrea


Classe 1994.

25 settembre.

Mi è sempre piaciuto il mio mese, perché è uno di quelli di transizione, né caldi né freddi, dove un po’ tutte le possibilità sono aperte e ti senti libero.


La libertà.


È solo da pochi anni che mi chiedo quale sia il suo senso, che inseguo un’idea di felicità asintotica.

Che vuol dire essere liberi? Ognuno ha la propria definizione.

La mia, sono sicuro, arriva dall’infanzia trascorsa tra Rivodora e San Mauro, fino alla quinta elementare; fino a quando, per i soliti motivi “adulti”, non ho salutato tutta la mia combriccola di via Mezzaluna in vista del trasloco a Casalborgone.

Per un po’ i contatti sono rimasti, tutto era come sempre: calcetto improvvisato, scherzi, rivalità con i ragazzi delle palazzine dall’altra parte della strada.

Poi, un pomeriggio, non ho più trovato nessuno.

Prime uscite con i nuovi compagni delle medie, via Mezzaluna stava ormai stretta.

Io ero ormai fuori dai giochi.

Fu la prima che provai il vuoto dentro, ma soprattutto rabbia, perché se fossi rimasto là, anziché essere costretto ad andarmene, avrei ancora fatto parte del giro.

I primi germogli della mia idea di libertà stavano nascendo.

In fondo, però, a Casalborgone me la sono passata bene. Ho avuto la fortuna di incontrare tanti nuovi amici, alcuni ora persi per strada, altri che resistono.

Me la spassavo anche troppo, visto che in seconda media avevo tutte le materie con “gravemente insufficiente”, tranne un “distinto” di Storia, un “sufficiente” di Italiano e un “buono” di educazione fisica.

La stangata era alle porte.

Poi arrivò Daniele.

Maestro di ripetizioni, accanito giocatore di D&D.

Lui è stato un grande amico e ottimo maestro. Mi riportò sulla retta via, facendomi passare l’anno con un recupero al cardiopalma, e mi trasmise la passione per i giochi di ruolo.

Se oggi ho in mente di voler pubblicare qualcosa, o almeno tentare di farlo, è proprio grazie a lui e a quelle lontane ruolate della domenica sera con gli amici.

Viaggiare con la fantasia, creare un qualcosa che lì, attorno a un tavolo decorato di schede, manuali e trucioli di gomma, prende vita.

Scrivere una storia è, per me, la stessa cosa.


Per molti quello delle medie è un periodo difficile, io posso dire di essere stato fortunato, tranne per la sbandata pazzesca che mi ero preso per una mia compagna di classe.

DUE ANNI, DUE.

Ovviamente finita malissimo per il sottoscritto.


Io pensavo di star passando le pene dell’inferno amoroso.

Povero illuso: c’erano ancora tutte le superiori.

E un altro trasloco di mezzo…

Questa volta, fu meno traumatico: non ero molto lontano dalla mia vecchia casa, e non cambiai scuola.

Chiaro, ero da solo in cima alla collina, e le uscite settimanali erano abbastanza complicate, ma sarebbe potuta andare peggio.

In effetti, la stangata non arrivò in seconda media, ma in prima superiore.

In realtà non andavo male: era una questione di ambiente. Buona parte della classe mi aveva preso di mira.

Così avevo cominciato a tagliare tre giorni a settimana perché, tranne che per qualcuno, quegli altri proprio non li volevo vedere.

Penso tuttora che, per quanto nella vita ci siano sfumature su sfumature, in certi casi non tu non possa mantenere il piede in due scarpe: in quel momento la scelta era sul restare in un ambiente tossico e farsi valere, oppure andarsene.

La prima scelta non era un’opzione, perché non avevo abbastanza meccanismi di difesa e autoironia (con l’autoironia sana smonti gran parte delle offese e probabilmente vieni anche preso in simpatia); così, decisi di farmi stangare di proposito.


Che dire, ho buttato nel cesso un anno?

No, è stata la scelta migliore che potessi fare.


La nuova classe era tutt’altra storia, con ottime persone.

E poi, conobbi il nuovo prof. di Italiano, Fabrizio Nocilla, che mi cambiò per sempre.

Con lui la scuola divenne molto più che un luogo ricolmo di nozioni vuote.

Ricordo le lezioni su Catullo, Lucrezio, Dante, Boccaccio (e Il Decameron di Pasolini guardato in classe), così come ricordo i continui parallelismi con l’attualità politica e sociale.

Insomma, Italiano e Latino al servizio del presente e non solo per cultura.

Fu in quel periodo, i primi tre anni di liceo (escluso il primo), che mi avvicinai all’ideologia socialista.

Marx, Engels, Lenin, Gramsci.

All’epoca c’era Berlusconi al governo, era tutto un gran fermento di scioperi, proteste.

Forse era più semplice incolpare Berlusconi per un cancro tutto italiano che va avanti dalla Prima Repubblica, ma non mi pento di nulla, anzi… col tempo, sono andato ancora più all’estremo.

Un mondo dove non devi essere costretto ad abbandonare amici, casa, città a meno che non sia tu a volerlo.

Niente “traslochi” imposti, o marce nel deserto, o traversate nel mare.

Voler essere liberi e avere i mezzi per esserlo in ogni aspetto della vita, nel rispetto degli altri e di sé stessi.

Una cosa incompatibile con la società attuale, ma ci si può lavorare…


Alla fine, il tempo è volato.

Sono qui, circa dieci anni dopo, a casa mia, scelta da me, con il mio bagaglio di esperienze.

Sono un operaio metalmeccanico, suono la batteria, scrivo, leggo, gioco di ruolo, faccio sport, ho un mucchio di amici e un buon rapporto coi parenti.

Lo so che state pensando: mi manca QUELLA.

Arriverà, state sereni, e fate il tifo per me, anche perché di prendermi pali in faccia un po’ mi sono stancato.


Ho citato solo due persone. Una di queste, Daniele, non c’è più.

Credo che tutti, nel proprio piccolo, abbiano un certo potere sugli altri, un potere che comporta anche solo micro-cambiamenti che stabiliscono una giornata, un’ora, un minuto.

Citare due-tre persone è molto difficile.

Per chi non è stato citato, cioè tutti gli altri, beh… sappiate che la vita non sarebbe la stessa senza di voi.




Igor (@gribyslab)


Inizio questo 𝐷𝜇𝜌𝑙𝜀𝜘 specificando subito che in questa selezione non ho tenuto conto dei genitori e dei nonni. Sarebbe stato troppo scontato o banale parlare di loro.

Ognuno mi ha insegnato qualcosa di importante sullo stare al mondo, e i nonni continuano a farlo da lassù ormai da parecchio tempo.

Ho voluto parlare di persone esterne alla mia famiglia, che sono entrare nel mio cuore e che sono state assimilate nel mio carattere:



1. Giovanni


La mia passione per Stephen King ha origine da bambino, con la scoperta del film e del romanzo di IT. Sono poi cresciuto con alcuni suoi adattamenti cinematografici durante le medie e, al liceo, si è verificata l'esplosione definitiva per lo scrittore americano: ho recuperato tutti i suoi romanzi e tutti i film tratti dai suoi libri.


Nell'estate del 2013 veniva pubblicato in Italia un romanzo intitolato Joyland la cui sinossi era:


Estate 1973, Heavens Bay, Carolina del Nord. Devin Jones è uno studente universitario squattrinato e con il cuore a pezzi, perché la sua ragazza lo ha tradito. Per dimenticare lei e guadagnare qualche dollaro, decide di accettare il lavoro in un luna park. Arrivato nel parco divertimenti, viene accolto da un colorito quanto bizzarro gruppo di personaggi: dalla stramba vedova Emmalina Shoplaw, che gli affitta una stanza, ai due coetanei Tom ed Erin, studenti in bolletta come lui e ben presto inseparabili amici; dall'ultranovantenne proprietario del parco al burbero responsabile del Castello del Brivido. Ma Dev scopre anche che il luogo nasconde un terribile segreto: nel Castello, infatti, è rimasto il fantasma di una ragazza uccisa macabramente quattro anni prima. E così, mentre si guadagna il magro stipendio intrattenendo i bambini con il suo costume da mascotte, Devin dovrà anche combattere il male che minaccia Heavens Bay. E difendere la donna della quale nel frattempo si è innamorato.


Quel libro aveva una particolarità: si trattava del primo romanzo di King tradotto da un traduttore diverso dal leggendario Tullio Dobner.

Cercai il nome del traduttore, senza aspettarmi nulla, su Facebook. C'erano svariati omonimo, ma uno solo attirò la mia attenzione, quello con la foto del poeta austriaco Georg Trakl.

Spedii la richiesta di amicizia, senza particolare motivo.

Il giorno dopo ricevetti la notifica che l'amicizia era stata accettata, ma non solo, avevo anche ricevuto un messaggio privato:

Fu l'inizio di un'amicizia che durò per parecchi anni (nonostante la mia vergognosa domanda in risposta a una domanda, soprattutto senza salutare 🤣)

Grazie a lui mi affacciai al mondo americano in un modo più concreto, scoprii tante curiosità sul mio scrittore preferito e pian piano divenne anche una persona con cui confidarmi e chiacchierare di ogni argomento.

Dopo circa tre anni di messaggi digitali decidemmo di vederci dal vivo, con le rispettive ragazze/compagne.

Fu parecchio strano il primo incontro, in fin dei conti era un mio mito, una persona che stimavo parecchio. Vivemmo quella soleggiata giornata di aprile con un'inaspettata naturalezza, ci conoscemmo oltre agli argomenti di cui di solito parlavamo in chat e alla fine di quel giorno ci potemmo ritenere davvero amici.


Il periodo che va dal 2017 al 2019 è stato per me di profonda crescita, ho ottenuto molte soddisfazioni scolastiche e personali. L'amicizia con Giovanni fu presente per tutto il tempo, influenzò le mie letture, le mie visioni, la mia cultura personale. E pian piano mi fece guadagnare fiducia in me stesso, nei mezzi che stavo costruendo con tutti quei libri e quelle nozioni che mi stava dando l'università.

Giovanni per me era una prova concreta che anche in Italia si può diventare grandi con la cultura senza per forza essere personaggi famosi. E poi la piccola parte di America che custodiva nel suo passato era per me motivo di un inguaribile fascino.

Purtroppo negli ultimi anni pesanti problemi di salute lo hanno colpito e le nostre strade si sono distanziate, ma un pensiero a lui mi capita sempre di farlo. Sento la mancanza dei suoi consigli e di quella quotidianità nerd che avevamo creato in tanti anni di amicizia.

Le esperienze che abbiamo vissuto assieme sono conservate nel cassetto più pregiato della mia memoria.

E non si sposteranno mai da lì.




2. Claudio


Anche per la seconda persona "simbolo" devo partire dal liceo. Dal prof. di Inglese, che al tempo era prossimo alla pensione.

Spesso le sue lezioni deviavano dal semplice insegnamento della lingua e si trasformavano in dibattiti e discussioni di attualità. Oppure in discussioni cinefile, in consigli di film che la maggioranza dei professori riteneva inutili per la nostra formazione, perché l'importante era imparare bene il Ciclo di Krebs.

Avendo passato cinque anni con lui avrei un bel po' di ricordi legati a questa persona (dalla volta in cui mi fece i complimenti per la felpa di Psycho in terza liceo, alla volta in cui parlammo di Stephen King in inglese come interrogazione oppure ai suoi complimenti per aver migliorato il mio inglese a forza di guardare partite di baseball e football americano.) Ma quella che voglio riportare qui riguarda una lista di film sui malati terminali e sulle persone affette da malattie debilitanti come la sclerosi multipla. Non ricordo con esattezza se ci venne fornita come compiti extra per l'estate, o se consegnata durante l'anno scolastico. Ricordo però l'intensità con cui recuperai quei film, l'incapacità di staccare gli occhi dallo schermo per via dell'incredibile coinvolgimento. Gli insegnamenti e le riflessioni a cui la mia mente aveva accesso grazie a quei film, valevano più di mille parole.

Fu un periodo di formazione e di crescita, guadagnai umiltà nell'affrontare la vita. Rivalutai il valore delle cose.

Insomma, senza di lui sarei maturato molto più tardi.




3. Luciano


L'ultima persona simbolo di cui vi parlerò è, immancabilmente, legata al liceo.

Al tirocinio in quarta di liceo per essere precisi.

Feci due intense settimane in un ambulatorio veterinario perché lo studio oculistico in cui avrei voluto fare lo stage non aveva avuto modo di prendermi.

Iniziai così con la voglia sotto i piedi (soprattutto perché avevo appena preso la patente ma non avevo modo di guidare... perché mi mancava una macchina da guidare).

Ad ogni modo, la prima esperienza che mi accolse riguardava ovviamente la morte:


Io e una collega di Luciano spostammo il corpo senza vita di un golden retriever nella cella frigorifera in attesa del camion che lo portasse a cremare.

Non avevo mai preso in braccio un animale morto di quelle dimensioni.

Il cane aveva un tumore inguaribile che lo stava per condurre in una spirale di dolore infinito. Il padrone aveva optato per l'eutanasia in modo da evitargli un futuro di inutili sofferenze (di cui già aveva iniziato a patire). Lui e la veterinaria erano andati in un grande prato per farlo correre libero e giocare un ultima volta, entrambi con i lacrimoni agli occhi. Una volta stancato, il padrone lo strinse forte a sé e la veterinaria fece l'iniezione fatale.

Una storia che mi diede un bel colpo.


Il proprietario del negozio, Luciano, lo conobbi nel pomeriggio. Imparai presto che il suo ego era una cosa con cui bisognava averci a che fare, ma che nonostante questo era uno dei migliori nel suo campo.

Nelle due settimane che seguirono lo aiutai in attività di ogni tipo (operazioni, cure e visite). Durante i primi giorni me ne andavo a metà pomeriggio, ma dopo poco capii che se avessi voluto una buona valutazione al termine del tirocinio, mi sarei dovuto dar da fare. Così imparai che lo spirito di sacrificio e il duro lavoro ripagano sempre. Imparai come parlare e trattare con i clienti. Imparai come spiegare la morte dei propri animali domestici alle persone (per alcuni, gli animali da compagnia restano gli ultimi rapporti sentimentali che sperimentano, per questa ragione si legano alle proprie bestioline in un modo innocente e spesso ossessivo. Certe volte era come annunciare la morte di un figlio).

L'estate dell'anno prima era stata l'estate in cui avevo letto il mio libro preferito di King, Pet Sematary, romanzo in cui si parla di un cimitero in grado di riportare in vita i morti (umani o animali è indifferente). Al tempo il mio bassotto Jack era ancora vivo e vegeto, ma quel libro e i film che guardai in seguito fecero avanzare in me il pensiero di come sarebbe stata la mia vita quando lui sarebbe morto. Sentivo che dentro di me ero sempre rifuggito da questa cosa, trovavo sempre una scusa buona per dire "sarà tra tanto tempo", ma quella storia mi mise di fronte chiaro e tondo che doveva accadere, e che forse era meglio fare già i conti ora con questa idea della morte piuttosto che farsi inculare quando la cosa sarebbe accaduta.

L'esperienza che mi fece provare il tirocinio aggiunse un nuovo strato, creato dal libro di Steve, contro la Morte.

Mi fece imparare a dare la giusta misura all'amore che concediamo a un animale da compagnia rispetto a un altro umano (con questo ovviamente non dico di trattare cani e gatti come pupazzi senza emozioni, spero capiate cosa intendo...)

Il modo con cui il veterinario gestiva tutti questi aspetti della sua professione mi fece capire che le cose della vita sono stratificate, e non sempre ciò che vediamo in superficie corrisponde a quello che c'è sotto.

Finito il tirocinio diventai di fatto suo amico e poi suo cliente quando il mio bassotto si ammalò di diabete (per onor di cronaca: il veterinario che avevo prima aveva scambiato il diabete per un'influenza 🥲).

Ci frequentammo così per anni, fino al fatidico 2016, anno in cui il mio veterinario perse la vita in un'incidente di caccia in montagna.

E lì scoprii cosa significasse l'odio gratuito della gente e di quanto spesso le persone si fermino solo alla superficie delle cose.


In quelle due settimane mi hai insegnato tanto, Luciano, ma soprattutto mi hai insegnato a essere sempre se stessi nonostante tutto. E a non farsi scalfire da chi ci vuole male.



Immagino noterete che non ho inserito nessuna donna in questo elenco.

Ne avrei avute alcune da poter mettere, ma ho preferito andare in ordine cronologico rispetto alle persone simbolo (le donne che mi hanno forgiato sarebbero venute dopo la fine di queste esperienze del liceo).

Giovanni, Luciano e Claudio mi hanno insegnato tanto, mi hanno forgiato soprattutto dal punto di vista lavorativo e mentale.


Con queste esperienze mi avete cambiato la vita, sarò per sempre contento di avervi conosciuto.




Elena (@elena_carta98)


1. Il nonno


Ho frequentato per diversi anni due ragazzi, nipoti di nonni affettuosi e presenti, con i quali ho condiviso pranzi, cene e pomeriggi, adattandomi alle più disparate dinamiche familiari e conoscendo il rapporto che si può instaurare tra un nonno e un nipote tramite procura.

Emilio, in particolare, è stato il nonno che ho più ammirato, lo si potrebbe facilmente dedurre da una parziale lista di cose che ha fatto e di ruoli che ha ricoperto nella sua vita: avvocato, critico d’arte, professore universitario, scrittore, politico per la città di Torino e punto di riferimento della sua famiglia. Ma la mia ammirazione nei suoi confronti deriva soprattutto e inaspettatamente dal suo sincero affetto e dalle premure che mi ha riservato. Ogni volta che vedeva e sentiva il nipote chiedeva di me, come stessi e cosa facessi. Se lo chiamava telefonicamente mentre eravamo assieme, chiedeva sempre di parlarmi e ogni volta che andavo a trovarlo era felice di raccontarmi qualche aneddoto divertente.

Ai più potrebbe sembrare scontato, ma il suo affetto nei miei confronti era sincero e sebbene non sostituì ciò che un nipote può provare nei confronti del nonno, mi avvicinai (per una volta) a quella pura sensazione che molti hanno avuto il privilegio di provare. Custodisco con cura i suoi regali e i suoi aneddoti in quanto, ad oggi, spetta al vento della sua amata Bardonecchia custodirlo, dopo che in un maggio che odorava di novembre il ricordo della sua anima è stato diviso tra le persone che ha voluto bene.


2. L’artista


In un freddo agosto del 2017 trascorso nella contea del Dorset, nel mezzo di un’esperienza spartiacque, una mia coinquilina mi riporta alla mente una vecchia band che ascoltavo appassionatamente con mia cugina Valentina durante i suoi anni più tamarri delle medie. Presa dall’euforia dei miei 19 e dalla fittizia affermazione personale che stavo affrontando, decido di scrivere un messaggio post adolescenziale (ma privo di carica ormonale) all’ex bassista della band. Apro così un varco temporale che ricollega la mia infanzia a quel presente, e con la voglia di suscitare il suo interesse, mi impegno a risultare più intelligente di quanto sicuramente non fossi in quel preciso momento. L’esperienza trimestrale inglese si concluse e il mio sereno ritorno a casa fu abortito dalle più basse conseguenze delle mie azioni e da quelle di terzi che ne condizionarono i due successivi anni. Tra le poche cose positive si era stabilito però uno sporadico contatto formale con il bassista, che con i mesi si trasformò in una presenza costante, fino al culmine (quasi un anno dopo dal mio primo messaggio) che mi portò a raggiungerlo tra le sue amate valli. Fu un incontro intenso, conversammo amabilmente come se ci conoscessimo da tempo, ma io priva di esperienze, potevo a mio giudizio, solo ascoltare. Il suo cambiamento di vita, drastico e solitario mi affascinava e il suo tempo speso per l’arte mi ispirò enormemente per gli anni avvenire. Avrei voluto approfondire la conoscenza, ma la paura di sentirmi inadeguata era troppa. Sparì e non lo sentii per quasi 5 anni, quando una strana occasione lo riavvicino fisicamente a me. Negli ultimi anni, dedicatosi alla realizzazione di workshop ne organizzò uno proprio nel mio paese (l’assurdità coincideva con le più becere fan fiction), presi la palla al balzo e ci rivedemmo. Questa volta l’incosciente giovinezza faceva sempre parte di me, ma in aggiunta al mio bagaglio personale potevo portare racconti e vicende più interessanti. Mi sentii totalmente a mio agio con lui, ma trascorso quel bel pomeriggio io sparì per una seconda volta, incapace di affrontare un reciproco interesse maturato nel tempo, così diverso dalla quotidianità delle persone di cui mi circondo. Avevo paura di svelarmi, la mia umana bassezza non poteva interessargli, la paura di una futura delusione mi immobilizzò definitivamente. Meglio custodire un puro ricordo che doverlo depurare dalla mia immagine per una situazione di cui non mi sento all’altezza. Questo trascorso mi ha lasciato emozioni forti, mai consumate, e una costante ispirazione artistica derivata dalla maestosità del suo operato più recente. Se ci penso mi diverto all’idea che un pezzo della mia storia personale è collegata a quell’uomo che da ragazzo aveva la forma di un poster appeso sul muro della mia camera.



3. L’insegnante (io come la carta dell’appeso)


A scuola qualcuno mi consigliò un buon libro, qualcun altro un buon film, ma mai qualcosa di più, gli insegnanti che ho incontrato erano troppo impegnati a sopravvivere nella proiezione di quella apparente società.

Fu una coppia, anni dopo il diploma, che di fatto riuscì nell’intento di accendere quell’accumulo di sterpaglie interne con la scintilla delle loro parole, il fuoco di curiosità che ancora oggi mi accompagna corrisponde a uno dei miei argomenti preferiti: i tarocchi.

Non ricordo come, ma a vent’anni presi coraggio per iscrivermi ad un corso di yoga nella città più vicina, frequentai per un anno circa e tra le lezioni di hatha yoga ce ne furono alcune dedicate ai tarocchi. Paragonati ad una sorta di chakra “occidentali” mi suscitarono per la prima volta un senso di appartenenza e da lì iniziarono a far parte della mia vita.



Efed (@the_efed)


La cura di Leningrado

“Gli attacchi di panico? Ho imparato a tirarli giù come bicchieri di Vodka, senza assaporarli”


STORIA DI UNA NAZIONE

Questa giovane nazione è nata nel 1989 a seguito del trattato di Ivrea.

Attualmente si presenta politicamente debole, divisa e profondamente lacerata internamente.

Ripercorrendo la storia dell'ultimo trentennio dalla sua creazione, si possono identificare tre governi chiave che hanno portato gradualmente la nazione a ricadere su se stessa.

Il governo Ronchi (1990-2003), di formazione democratico cattolica, eletto democraticamente ma senza elezioni, dopo un iniziale entusiasmo si rivelò un vero fiasco. Il suo leader Marco Ronchi, verso la fine del suo mandato, forte dei consensi ricevuti fino a quei tempi con la riforma agraria e le Olimpiadi di Viverone, attraversò un periodo di incertezza, applicando una politica del terrore verso le fasce più deboli e insicure della popolazione . Quest’epoca viene ricordata ancora oggi come un momento buio. Le Nazioni Unite intervennero condannando la gestione Ronchi e portando il paese a nuove elezioni.


Fortunatamente alle elezioni successive un nuovo governo fu eletto democraticamente.


Il governo Ottani (2004-2008) cercò di ricostruire la nazione dagli errori e dalle macerie del governo Ronchi e, fresco di una classe dirigente tutta nuova, riuscì negli anni a portare il paese in quella fase di benessere e serenità che viene tuttora ricordata come "Epoca Aurea". Tuttavia, questa esaltante fase ebbe fine improvvisamente quando il vecchio generale Ramponi, filoronchista con il suo esercito personale invase la capitale uccidendo il tanto amato premier Ottani. La crisi si placò grazie all’immediato intervento delle Nazioni Unite, portando all’incarcerazione del generale, ma la nazione ormai definitivamente instabile con questa nuova inquietudine cadde nuovamente in un pesante periodo di decadenza.


Sfortunatamente alle elezioni successive un nuovo governo fu eletto democraticamente.


Il governo Politti (2009-2023), eletto in un clima di caos politico, fu un governo assolutamente confuso e inconcludente ma comunque fatto di alti e bassi, che seppe sopravvivere a crisi economiche e sanitarie con discreta resilienza. Fatta eccezione per le due brevi guerre civili del 2015 e del 2019 prontamente sedate dalle Nazioni Unite, quest’epoca è risultata sulla carta molto più piatta e pacifica delle precedenti. Tuttavia, sin dal governo Ronchi la nazione si portava dietro profonde ferite che gradatamente sarebbero riaffiorate. A posteriori, noi storici possiamo giudicare l’operato di quest'ultimo governo come il più dannoso per la salute della nazione. Questa situazione di apartheid e terrorismo psicologico che si è creata, nonostante l’approccio “buonista” del primo ministro Laura Politti, è responsabilità in parte dei governi eletti in precedenza ma soprattutto della gestione immatura e confusa di quest'ultimo. Tale governo, in questo momento sta per cadere a causa della crisi economica e sociale che ha causato.


Il nostro lavoro di cronisti per il momento si ferma qui. Il futuro sembrerebbe mostrare solo caos e distruzione, siamo tutti in attesa di un nuovo intervento delle Nazioni Unite e che un nuovo governo venga eletto democraticamente, per capire quale sarà il nostro destino come cittadini di questa nazione scellerata.




Anonimo


Ci sono persone che vorremmo non aver mai incontrato nelle nostre vite. Persone che ci hanno appiattiti, ci hanno spezzati, ci hanno fatti innamorare e poi hanno distrutto il significato dell'amore, dell'amicizia, della fiducia. Persone che, come cicuta a piccole dosi, giorno dopo giorno ci hanno paralizzati fino a farci smettere di respirare.

Ma a volte queste persone le vediamo riflesse insieme a noi ogni volta che ci guardiamo. Perché dentro portiamo metà di loro. E vorremmo strapparci la faccia e smettere di somigliargli, ci sottoponiamo a diete e cambiamo i capelli, cerchiamo di camminare e di parlare in modo diverso; ma non importa quanto ci proviamo, fanno parte di noi.

A volte ho invidiato chi era cresciuto senza sapere cosa significasse condividere la casa con un aguzzino. Dover mangiare, dover parlare, dover condividere l'infanzia e la gioia, dover abbracciare e piangere con una persona che fa più che rimproverarti e picchiarti e punirti. Un genitore che, giorno dopo giorno, urla per ore contro il mondo, perché sono tutti cattivi e anche tu sei stronzo e gli errori che fai sono imperdonabili e fatti apposta per farlo soffrire e perché non mi ascolti e nessuno mi ama. E niente è mai abbastanza.

E allora tu non sei mai abbastanza.

Provi a ribellarti, a chiedere pietà, a rispondere alle urla. Ma sei sempre troppo piccolo per poter ribattere a dovere, quello che hai da dire non è mai importante, il tuo punto di vista è sciocco e viziato e inesperto. "Sei troppo giovane per avere problemi." Sei troppo poco perché i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri contino veramente.

Non c'è niente di peggio di un genitore che ti insegna a essere infelice e a odiarti.

Allora come sorprendersi se a volte fissi il vuoto senza provare niente? Se soffri di ansia da prestazione e studi e lavori fino alle due di notte? Se non sai mai dire di no perché hai paura di deludere e far soffrire gli altri? Se le tue necessità non sono mai importanti per te, e allora ti fai sfruttare e calpestare? Se ti dimentichi che puoi essere felice? O che semplicemente non riesci più a essere una persona, ma solo una macchina?

Diventi qualcosa che non è. Diventi un'aspettativa.

E a un certo punto tu stesso inizi a cercare l'amore in quel modo malato. Perché tutta quella rabbia repressa non era altro che un bisogno infinito di essere amato. Così, se anche tu non sei stato amato come dovrebbe esserlo un figlio, a tua volta porti avanti questo meccanismo insensato di frustrazione e devastazione.

Propaghi la violenza che la persona che ami ha affondato in te per anni, con intorno il silenzio di chi non capisce o ha paura o non vuole vedere.

Il peggio è che a volte nemmeno ti accorgi del male che fai a tua volta, perché quella violenza era il modo in cui ricevevi attenzioni dalla persona che avrebbe dovuto amarti. Allora è anche un modo un po' storto per amare a tua volta.

Ma per fortuna il dolore ti ispira. Conoscendolo, sai che non vuoi farlo provare ad altri. Sei terribilmente sincero e terribilmente severo con te stesso. Così, pian piano, inizi a lavorarci sopra:

non voglio manipolare nessuno

non voglio manipolare nemmeno me, dimenticando ciò che faccio, raccontandomi che è altro o che non è mai successo, come fa lui

posso cambiare

posso controllarmi

posso guarire le ferite

posso spezzare la catena.

Posso essere il genitore che non ho avuto.


È difficile fare pace con un genitore così, soprattutto dopo quella volta in cui hai chiesto pietà e ti ha fissato come se provasse piacere nel vederti piangere con disperazione. Nonostante tutto, ti senti sempre in dovere di dimostrare che sei una brava persona, ma eviti il contatto il più possibile per salvarti l'anima che sei riuscito a ricostruire.

Ho paura di ciò che potrebbe succedere se non ci fosse nessun altro per il suo declino. Probabilmente l'aiuterei, nonostante tutto.


Ci vedo anche qualcosa che ho di buono. Principi per me fondanti, come la giustizia, sono i suoi. Abitudini ormai insediate nel mio cuore, come stare con le persone a cui tengo a cena, me le ha trasferite questa persona. Abbiamo in comune idiosincrasie, la voglia di fare la differenza, la capacità di scrivere. Ha allenato la mia dialettica e la mia furbizia nelle infinite ore di discussione dalla mia nascita fino alla mia fuga. È nelle mie lacrime, ma anche nelle mie lotte.

Difficile da ammettere. Di sicuro con lei non lo farò.



Un'altra persona che mi è entrata nel profondo per fortuna mi ha lasciata andare, anche se prendendosi un pezzo di me. È una delle conseguenze della mia infanzia: mi ha chiesto tutto, e non ho saputo dirle di no. Per anni siamo state due anime gemelle, tra confessioni e momenti speciali che non avevo vissuto. C'ero in ogni momento, per tutte le ore di infelicità e ansie e paranoia che viveva. L'amavo, tanto da non provare gelosia per la sua vicinanza con la mia persona o per il suo fidanzamento. L'amavo anche se invadeva i miei spazi - o forse proprio per questo. Credevo di essere fondamentale per lei, come sentivo che lei lo era per me.

Ma anche se, da soffocante che era, il nostro rapporto è diventato complicato, poi pieno di accuse, poi manipolatorio, poi interrotto senza spiegazioni, non dimentico le bellezze. Mi ha insegnato cosa siano il gaslighting, l'orbiting e il ghosting, ma anche ad ascoltare meglio gli altri, a rispettare di più i paletti altrui, a pensare di più all'effetto delle mie parole, a curarmi di meno del giudizio altrui, a studiare insieme sulla cima dell'aria fresca, ad ascoltare quelle canzoni, a ridere del ketchup sul volante, al cappotto nel freddo, ai pulsanti squadrati, al puntino. Persino, nonostante il poi, a credere un po' di più in me.

Avevamo ferite simili. Prevedevamo le azioni e i pensieri dell'altro. Abbiamo condiviso l'abbraccio più grande mai ricevuto, quello dell'intreccio di due vite.

E quando ha rotto il nostro legame ho imparato ancora di più. È iniziata una discesa senza riprese e senza ritorno, fatta di senso di colpa, depressione, psicoterapia, amore nei miei confronti, controllo della rabbia, accettazione delle emozioni altrui. Accettazione del fatto che le persone cambiano, o non sono mai cambiate, e che se ne vanno, e che a volte non c'è niente da imparare da quello che succede.


Poi ci sono tre persone che mi sono state accanto.


Al liceo e all'università c'è stata un'amicizia che non ho mai capito perché sia iniziata e poi non ho capito perché sia finita. Quando c'era, era al mio fianco in ogni momento di necessità, aiutandomi a capire dove sbagliavo io e dove invece ero davvero vittima di abusi, a comprendere le mie emozioni e accettarle. Ascoltava, consigliava: mi ha dato una consapevolezza di me che non avrei mai avuto.

È stata un pilastro per me, anche se diceva sempre di avere un debito nei miei confronti.

Immagino che sia stato saldato.


Poi c'è il primo grande amore. Il genere di persona di cui avevo bisogno: la pace nella tempesta che avevo in casa, la bellezza in un mondo di caos e orrore. Un rifugio che mi calmava e mi accoglieva anche quando ero intrattabile.

Coraggio, determinazione, originalità, calore, grande intelligenza, un vulcano, il cuore più accogliente che abbia mai conosciuto.

Spero di aver ricambiato ciò che mi è stato dato, perché di sicuro non è stato un rapporto perfetto ma per me è stata aria. Giornate di normalità tra musica, film, coccole e un oceano di parole piene di profondità, cuore, comprensione, ispirazione. Forse è per questo che la follia non si è impadronita di me. Di sicuro è il motivo per cui ho scelto di iniziare la psicoterapia: non lo avrei mai fatto per me, perché non credevo fosse importante che io stessi bene, ma questa persona rappresentava per me la pura bontà, un cuore da salvaguardare senza riserve.

Purtroppo, un cuore che ho spezzato. A un certo punto ero troppo infelice per non cambiare. Ho sentito troppa diversità, voglia di fuggire, attrazione verso qualcosa e qualcuno di diverso. E purtroppo l'amore è diventato affetto, per quanto profondo e forte.

L'ha capito.

Siamo ancora vicini nelle cose importanti.

Che persona stupenda. Il genere di persona a cui augureresti sempre e per sempre solo il bene.


Infine, una persona che ha vissuto tutto questo e nel mio cuore dalla mia nascita fino a poco tempo fa. È stata la mia infanzia, tra giochi e TV e azioni semplici di tutti i giorni, e mi ha celebrata in ogni successo e sorriso a ogni festa. Il tipo di persona silenziosa che ti viene in mente in momenti inaspettati, mentre fai cose banali, che però ti rendi conto che con sé possono portare significati enormi e tantissimo amore. Di certo non è stata una persona perfetta: sono tante le cose che non ha visto, e tanti i litigi. Ma sarebbe bello poter litigare ancora.

Spero solo che sappia che sono felice. Sono dannatamente felice. Ho raccontato una storia piena di traumi e tristezza, ma la verità è che non riesco a smettere di pensare a quanto ami quello che ho, alla mia fortuna e ai risultati che ho raggiunto. Faccio un lavoro che mi piace molto, che mi fa sentire utile e valorizzato, insieme a colleghi meravigliosi. Ho superato scogli che non credevo di poter superare, per quanto per altri possano risultare banalissimi, e ora sono indipendente. So prendermi cura di me e di altri. So puntare in alto e migliorare senza sensi di inadeguatezza o di colpa. So ed felice.

Sono davvero vivo.





𝐷𝜇𝜌𝑙𝜀𝜘 𝜌𝜎𝜀𝜏𝜄𝑐𝛼


1 novembre 2023 - 16 novembre 2023


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