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- Igor Gribaldo
- 6 ott 2024
- Tempo di lettura: 18 min

© Hotpot Ai
La consegna
“Tacchi o barba?” Ti risvegli nel sesso opposto. Racconta (con un testo, poesia, dialogo o sceneggiatura) la tua giornata nel tuo nuovo corpo.
Alessandro (@il_principe_taggatore_)
Divenire Donna
“Jessica, sono le 9 “
Che strano! Questa volta proprio non sono riuscita a svegliarmi con la sveglia. C'è una strana sensazione in me, non riesco a capire bene. Mi sento un po' debilitata come se avessi sanguinato da troppo tempo. Eppure, mi sento tranquilla e tutto risulta normale. Davanti a me osservo oggetti con una miriade di colori e devo dire che mi rasserenano.
“ Mamma, noti qualcosa di diverso in me? “
“ Assolutamente no, principessa! “
Non comprendo il motivo per cui mi sento così strana oggi. Mi soffermo di più del solito a guardarmi bene allo specchio: capelli neri fluenti, occhi castani, viso molto morbido e una voce che non mi riesco a capacitare. So solo che mi affascino. Forse ho l'autostima alta più del solito, ma non mi pare che sia questo la particolarità di oggi.
Accendo i social e mi ritrovo una marea di messaggi di spasimanti. Sono sempre intasata di notifiche e richieste così vuote da apparirmi per come sono: numeri ! Quanto vorrei un valore più soggettivo e reale. Decido di farmi un giro per il mio paese.
Non riesco ad ignorare quanti sguardi ricevo, ma d'altronde so di avere una presenza difficile da ignorare. Questa volta, però, mi sembrano più insistenti del solito. Tutto d'un tratto un mio conoscente mi ferma chiedendomi:
“ Ehy Jessica, come stai? “
“ Ciao, non so perché oggi mi sento un po' diversa dal solito”
“ Sei sempre una principessa ”
Io credo profondamente nei segni e quel termine mi risuona come qualcosa di sospetto. Come mai due soggetti completamente diversi, ma all'interno della cerchia di conoscenze, continuano a riferirsi a me come principessa. Ok, lo so bene che è un modo carino di valorizzare la persona e non devo pensare di essere divenuta nobile. Comunque, non mi torna qualcosa.
Durante il pomeriggio, mi metto a scrivere le mie sensazioni sul computer e prendo il mio tempo a leggere meglio tutte quelle richieste. In attesa di trovare un lavoro decente che non sia far piacere agli uomini, cerco di comprendere come mai è tutta la giornata che c'è qualcosa che non mi torna. Il termine principessa continua ad apparirmi costantemente. Proseguendo, invece, la sezione di un mio post su Instagram, mi trovo anche lì frasi non sempre così utili. Certo che se fossi un ragazzo non riceverei tutte queste richieste con tanto di titoli mai richiesti. Aspetta, perché mi è venuto in mente di paragonarmi ad un ragazzo?
“ Je, come ti senti oggi? “
“ Mamma, è tutto il giorno che mi sento un po' strana “
“ A quanto pare, sei ancora un po' stanca dal ciclo di questi 5 giorni “
Il ciclo mestruale? Oddio, come mai non ho avuto questo pensiero ad inizio di questa giornata? Perché non ho tenuto minimamente conto che la mia stanchezza e cambio di umore potessero originarsi dalle mestruazioni? No, non sono quelle. So benissimo questa stranezza che sento. Non è una questione di episodio fisiologico, ma proprio come se fosse un cambio di identità.
Un certo Alessandro, nome che mi richiamava qualcosa che non riuscivo a capire, mi scrisse: “ Ehy, Principessa. Ti va di uscire questa sera ? “
Si dai, sono curioso davvero di capire meglio di me stesso. Aspetta, perché mi è uscito il maschile. Va beh, ci tengo alla parità di genere e al fatto che ognuno possa identificarsi come vuole. Non è sicuramente avermi connotato al maschile a privarmi di essere una donna quale sono.
Mi trovo con Alessandro a farmi un giretto nel mio paesino. Mi sento protetta, ma allo stesso tempo troppo al centro dell'attenzione di altri sguardi maschili e non solo.
“ Ale, sai che il tuo nome mi risuona molto? “
“ Mi fa piacere, Je! Siamo in forte sintonia “
Certo che starei molto bene con lui, mi sento davvero capita. È il momento di esprimere quello che per tutta la giornata mi sono tenuta dentro.
“ Mi trovi diversa dal solito?”
La domanda mi risuonava troppo a brucia pelo, ma non si è scomposto per niente. Ne ero consapevole che poteva risultare la persona adeguata alla situazione.
“ Sì, lo sei diversa!”
Come mi aspettavo, no cosa? Ho capito bene! Cosa vuol dire che sono diversa? Non mi trova più carina? Io ci metto cuore per uscire sempre con lui e far capire il valore prezioso del nostro tempo e mi dice che sono diversa? Perché mi sto ponendo queste domande? Effettivamente, sono io la prima a sentirmi diversa.
“ Da cosa ti sembro diversa?”
Il mio tono suonava quasi un'accusa, ma non volevo assolutamente renderlo tale. Fortunatamente, lui ha continuato a mantenere la sua tranquillità.
“ Se non fossi più una principessa, te lo sei domandato? “
Che capperi di risposta dovrebbe essere questa? Naturale che non ho un trono e non sono una principessa. Anzi, mi sento un po' infastidita da questi continui sguardi da parte di altri maschietti. Per di più, mi risuonano in mente ricordi confusi di atteggiamenti molesti nei miei confronti solamente per essere stata.....donna! Lì improvvisamente mi uscì la frase che mi aprì la mente: “ Se non fossi più una principessa, sarei un principe pronto a valorizzare sia il mio genere che quello femminile. Non è possibile che in quanto donna mi debba sentire così in deficit tra proteggere la bellezza fisica e augurarmi di essere protetta pure fisicamente!”
Nemmeno con quella foga Alessandro rimase sconvolto. Il suo sguardo, anzi, risultava ancora più trasparente e pieno di orgoglio: “ Tu sei il mio principe ! “
Non è possibile, come poteva essere successo? Ora riesco a guardare meglio la realtà e capire come mai mi sentissi così strana tutto il giorno. Non risultava essere il ciclo né una strana giornata piena di autostima. Io non ero una principessa, ma un principe nel corpo di me stesso al femminile. Lo abbracciai intensamente e poi felice me ne ritornai a casa. Sì, sono fiero di aver mantenuto l'amicizia con me stessa.
Igor (@gribyslab)
Diario di Ilenia, 27 settembre ‘24
Oggi ho compiuto trent’anni e stamattina stavo scavando tra i giocattoli e i disegni di quando ero bambina. C’erano un paio di Barbie senza arti, alcune macchinine, uno Spider-Man trovato dentro gli ovetti Kinder e una Barbie Weekend, un'edizione del 2004 in collaborazione con i supermercati Panorama. Era la mia preferita, ho fatto tante vacanze a Malibù in sua compagnia. Abbiamo assistito ad incidenti, abbiamo stretto amicizie e fatto e disfatto amori. Quando l'ho trovata era a testa in giù, quasi non la riconoscevo, poi ho visto la valigia viola e ho capito che era quella di una vecchia amica.
Non mi sembra vero che siano passati vent'anni. Lo dicono tutti, è una cosa scontata eppure mi fa stare male ogni volta. Come se il tempo facesse resistenza alla memoria, più si allontanano gli anni e più senti di voler tenere stretti i ricordi, che spesso però diventano appannati. Sbiaditi. Spenti.
Ho conosciuto un ragazzo la scorsa settimana, sta organizzando un evento di letteratura, con alcuni ospiti americani. Non mi aspetto nulla da questa nuova amicizia. O forse sì.
Magari mi può accompagnare un po' nella danza della vita, nella danza al buio della vita. Farmi (e fargli) dimenticare la mortalità. Solo per un paio di secondi.
Forse così i weekend del 2004 in compagnia della mia amica di plastica tornerebbero a essere vicini, perché non esisterebbe più il tempo durante l'estasi.
Efed (@the_efed)
Un larice a Larizzate
Alfred un mattino si svegliò.
Il suo corpo era più morbido del solito. Il suo seno era più morbido e grande del solito, nonostante la sua corporatura di maschio fuori forma. Ad un tratto si affacciò allo specchio tondo poggiato sulla scrivania della sua camera da letto…
Trasalì.
Passarono 20 minuti di puro terrore in cui non ebbe neppure il coraggio di aprir bocca per paura di sentire il suono della sua voce.
In questi minuti gli balenarono in testa diverse opzioni, persino quella di buttarsi giù dalla finestra e concludere immediatamente quel terribile incubo.
Poi, ad un certo punto, prendendosi a schiaffi capì ke qualcosa era accaduto, qualcosa al di sopra delle sue capacità.
Iniziò a concretizzare l’idea di essere diventato… Una donna!
Una vera donna, ma non una bella donna! almeno secondo il suo grado di giudizio iniziale.
Il problema più grande era dovuto al fatto che questa donna assomigliava troppo a lui.
Per questo non avrebbe mai potuto essere una donna Presentabile.
Intanto le ore passavano, e Alfred trovò il coraggio di canticchiare e scoprire finalmente il suono della propria voce:
“Women in uniform,
sometimes they look so cold
Weeeeeemen in uniform,
but, Oh! They feel so warm!”
Si rese conto ke la sua voce usciva in modo assolutamente naturale senza nessuna differenza apparente da quella voce ke per anni aveva avuto.
Non aveva in alcun modo il potere di comprendere se tale voce era differente dalla voce che aveva avuto un tempo.
Ad un certo punto andò nel bagno e si guardò allo specchio…
In qualche modo quello che vide non gli sembrò più tanto strano come era sembrato inizialmente:
Quel naso così tondo,
Quegli zigomi così appiattiti,
Quella pelle così liscia,
Quei seni un po’ più grandi del solito.
E quei fianchi ke gli ricordavano un po’ quelle immagini di madre natura: fotografie di sculture preistoriche ritrovate in remote caverne e pubblicate in remote pagine di libri scolastici ormai conservati in polverosi scatoloni abbandonati in qualche remoto magazzino.
Ad un certo punto si ricordò ke aveva interrotto tutto nella sua vita, il mondo stava andando avanti senza di lui.
Cosi Alfred concepì un’idea nuova: in un certo senso questo era un nuovo punto di inizio!
La questione era tanto surreale ke nessuno si sarebbe mai sognato di prendere in considerazione l’idea ke quella donna fosse Alfred
Fu così ke egli si approcciò a quel fenomeno in maniera del tutto razionale, cosa ke non avrebbe mai fatto in nessuna altra mattina dell’anno, quando, irrazionalmente, avrebbe cercato di non svegliarsi. Fu così ke dopo aver mangiato finalmente qualcosa si sentì immediatamente sazio come non lo era mai stato.
Era tempo di levare quel logoro pigiama e tentare di uscire fuori.
L’unica era frugare nella guardaroba e cercare; inizialmente non si impegnò molto: prese la sua felpa di cotone nero sbiadito e un paio di pantaloni più morbidi di quelli ke avrebbe messo da uomo.
Fu in quel momento ke decise di aprire la porta di ingresso, ritrovandosi a Larizzate.
Forse era più semplice essere una donna a Larizzate, ma…
Cosa diavolo era successo nel mondo? Cosa diavolo era successo?
Per lo shock svenne sulla soglia della porta della sua casa magnificamente fatiscente…
“Ebbe mille esperienze fantasiose
al di sopra dell’immenso
Tra il vivere breve ed il vivere intenso
Finkè noia, solitudine
Ed ovviamente malattia
non se lo presero per sempre
Xké questa epoca è quasi peggio della media epoca.
E lui lo sapeva!
Per questo trovò nel peggio di Larizzate
il meglio del mondo,
Ke vive, Ke muore, Ke decade
come una bellissima cosa.
Frantumata ma solida,
desolata ma florida, di solitudine.
E s’abbandonò a sperare
Ke nessuno mai avesse il potere
di distruggere tutto ciò,
come narratore, cantastorie o presidente della regione
Ke fosse un figlio più rispettoso dell’ambiente storico ke dell’ambiente corretto!
Ke sapesse mettere in dubbio quello Ke le pecore ripetevano
nei poco vari greggi contrastanti e falsamente contrastati.”
Dopo 4 minuti di sonno si svegliò.
Era ufficialmente pronto a vivere come una donna a Larizzate.
Certo sarebbe stato complesso ma, da un lato si sentiva di aver eliminato per sempre certi disagi ke lo distanziavano dal suo genere maschile, il bisogno di esprimere tutto in dati. Certo perché spesso e volentieri i maschi hanno questa passione sfrenata per i numeri, per i dati, per il quantificare le cose, Ke diventa patologica quando si tratta di armi e motori.
Ora avrebbe potuto vivere in un mondo ke non lo rendeva ossessionato da queste cose, ke riteneva totalmente superflue, inutili e avrebbe potuto fare discorsi di altro tipo, magari conversazioni ke lo avrebbero reso più sereno e gli avrebbero permesso di integrarsi meglio nel contesto di Larizzate.
tuttavia….
“Questa è la spezzata storia di Lorena,
figlia degli dei e caduta in terra nell’anima d'un uomo poco convinto.
Ke narra ozio e colleziona fatiche
Ke si dimentica di ricordare il meglio
ed invecchia comunque
pur non ricordando il peggio.
E’ la storia di un bicchiere
composto d’anime vitree, appiattite, amorfe,
Ke nn cercano più libertà
ma solo un metodo per sparire per sempre.
E’ la storia di me,
Ke dovrei essere felice di essere donna
seppur col nome di Alfredo,
seppure in terza persona
ma ke alla fine dei conti
vorrei solo sparire o al più non comparire mai più
o in alternativa essere visto per sempre
xké resto contraddizione
anche in quest’insensata versione!”
Silvia (@rougewine)
Cuore zelante
Non è tanto per questo corpo,
così diverso,
quanto per questa anima così leggera;
io, la sento chiaramente questa sottile differenza
anche se poi in fondo non è così sottile.
In entrambi i casi
è tutta apparenza.
Vanno in direzioni opposte,
ma, senza ammetterlo mai
sperano di ritrovare la metà smarrita,
perché
anche se non siamo frutti dello stesso albero
lottiamo entrambi per aver la libertà,
ma tutti piangiamo
lacrime invisibili
per la solitudine.
Elena (@lamentecarta)
Il vuoto era intimo, difficile per il pieno, indomabile e impossibile da nascondere, fonte di adulta preoccupazione come il silenzio che ha accompagnato la mia infanzia di bambino che sarebbe stato visibile oggetto di sofferenza. Se una bambina che non parla è sinonimo di naturale propensione biologica, un bambino introverso è il sintomo di un qualche malessere sociale, desterebbe preoccupazione e sarebbe stato preso di mira, sbeffeggiato dai compagni di crescita e iper-protetto dagli adulti. Avrei sicuramente preso la parola tardi, forse finita l’adolescenza, quando la sensibilità umana diventa un valore da mostrare e nel silenzio apparente delle mie emozioni, le avrei veicolate tramite una naturale propensione artistica. A quel punto, pur di poche parole, sarei stato preso sul serio, non avrei dovuto impormi per far credere al mondo le mie ragioni e avrei forse valutato la corporeità femminile come mero soddisfacimento personale, intimo, come coloro che godono in silenzio senza toccarla mai una donna. Non sarei stato capace di interagire se non amichevolmente, troppo spaventato dalla derisione. Essere l'ombra di se stessi ha un vantaggio: quando si cammina per strada non c'è nessuno che fischia come a voler richiamare l'attenzione di un cane.
Jolanda (@jukeboxscienza)
Invidia del pene
Freud diceva che le donne hanno l’invidia del pene. Anche se non è stata una delle figure più scientificamente rigorose degli ultimi secoli, se avesse parlato di me avrebbe avuto ragione: ho sempre un po’ desiderato di avere un pene anch’io. Far pipì a bordo strada, essere meno soggetti a cistiti, avere maggiore facilità a trovare intimi decenti e comodi. Anche se naturalmente mi sarebbe piaciuto avere tutto il pacchetto, un cromosoma Y a far compagnia a uno dei due cromosomi X delle mie cellule. Sono sempre andata più d’accordo con i maschi che con le femmine. Non disdegnavo i capelli corti, le felpe larghe con la cerniera e gli skateboard. E, soprattutto, volevo essere libera dagli schemi che la mia famiglia e il resto del mondo intorno a me cercavano di impormi: “Non dire le parolacce, non è da signorina”. “Chiudi le gambe (ma guarda che metterle una sull’altra ti fa male al bacino)”. “Attenta ad accompagnarti a gruppi di maschi, la gente potrebbe pensare male”. “Non vestirti troppo provocante, potrebbero provarci con te”. “Se dormi a casa del tuo ragazzo il tuo futuro datore di lavoro potrebbe venirlo a sapere e pensare male di te, e non assumerti - o peggio, chiederti dei favori”. “Non puoi certo andare in giro di notte!! Ti veniamo a prendere noi”. E poi non mi sarebbe capitato di avere persone che allungavano le mani sulle mie tette e sotto la mia gonna.
Altro che problemi del cazzo: problemi della vagina.
Però il giorno in cui mi svegliai del sesso opposto non reagii bene.
“Che cazzo è successo?! Letteralmente!?” urlai, al sentire un intruso nei miei pantaloni del pigiama. Saltai letteralmente fuori dal letto per correre davanti allo specchio.
Ero praticamente la copia di mio fratello. E intorno a me era tutto diverso: la stanza più piccola, i mobili di metallo, Lego e giochi dappertutto, i vestiti sulla sedia da gamer, il pavimento grigio...
Chi cazzo sono?? Dove sono!? E che fine ha fatto la mia vita?!
I miei pensieri correvano, la mia testa girava, sudavo e avevo il fiato corto. Mi sembrava l’anticamera di un attacco di panico.
Mi rimisi a letto e cercai di fare dei respiri profondi e mettere da parte tutte le domande che avevo - com’era successo? Dov’era finito il mio corpo? Cosa avrei fatto ora? E la mia famiglia? E il mio lavoro?
Per fortuna sembrava fossi sola in casa, così non dovevo rispondere a delle aspettative.
Decisi di iniziare dal capire chi fossi. Grazie alla Scienza, nell’era digitale abbiamo lo smartphone con sopra tutte le app che ci servono per sapere cosa facciamo e come ci presentiamo al mondo. Con un po’ di fortuna, avrei potuto accedervi con la mia impronta digitale.
Provai a prendere il telefono e… Yes!
Per prima cosa, cercai LinkedIn. Mi avrebbe aiutato a inquadrare la mia vita degli ultimi anni… e a capire se quella sveglia alle 7:00 mi ricordava di andare in ufficio o solo di lavorare da casa.
In quel momento mi domandai: mi importava di far filare liscia la vita di questa persona? Tanto più che forse aveva seguito un percorso molto diverso dal mio, sia nel lavoro sia nella vita personale, e quindi non sarei stata all’altezza… Ma dovevo provarci. Primo, perché non sapevo quanto sarei rimasta in quel corpo, e volevo sopravvivere. Secondo, perché mi sarei sentita una merda a incasinare l’esistenza a questo “lui” in caso prima o poi fosse tornato nel suo corpo. Sentivo un’enorme responsabilità, come un medico da cui dipende la vita di una persona.
Ignorai la home di LinkedIn. Andando ad aprire il mio profilo, sotto alla foto profilo del mio volto di maschio spiccava il nome: “Aurelio Pisano”. Ero forse io in una vita parallela?
Nella cover appariva la “mia” immagine come fossi stata… stato un videogame a 84 bit. Il job title: “Game developer”. Figata!!
Scorsi il cv: Aurelio lavorava da circa un anno in una startup di giochi fondata da due ragazzi che anche nella mia vera vita mi sembrava molto interessante. Prima, qualche anno da freelance a tempo perso e una collaborazione da Website manager and designer per l’azienda di mio padre. Scorsi velocemente fino alla sezione “Volontariato”, e come sospettavo spiccava il nome dell’associazione di mia madre. Dovevo assolutamente provare a guardare tra i numeri di telefono e capire se questa famiglia era la mia famiglia. Se Aurelio ero io.
Diedi una rapida scorsa anche alla formazione - un master in Games Engineering alla Technical University of Munich, prima un master in Computer game development a Verona, ancora prima una triennale in informatica a Torino. Nel frattempo, qualche corso di design o comunicazione e persino un corso di terapia con i videogiochi erogato da un Ordine degli Psicologi. Un percorso strabello. A quanto pare Aurelio sapeva anche molto bene il tedesco, con una certificazione B2.
Però tornai un attimo al presente: erano le 7:40, ero nuda - cioè, nudo, e non avevo idea di cosa dovessi fare sul lavoro. Anche perché lavoravo in quel posto già da diversi mesi, quindi conoscevo già bene diversi meccanismi e sottintesi. Decisi che dovevo darmi per malato, rimandando le considerazioni su come ottenere un certificato medico.
Ipotizzai di avere una chat di gruppo con i colleghi, e infatti scorrendo WhatsApp - chi era quell’“Amore”?? - vidi: “Teamwork”. Provai a guardare i messaggi per capire il tipo di ambiente, i toni dei messaggi, il tipo di comunicazioni. Mi strizzò l’occhio una serie di meme, battute e foto di persone sorridenti in gruppo. Mi si confermò l’impressione di ambiente super carino e comprensivo che avevo avuto nel seguire le gesta dei due founder su LinkedIn nella vita reale.
Scrissi: “Ciao, scusate, purtroppo non mi sento molto bene oggi, non so se riesco a lavorare… è un problema?”
In breve tempo, entrambi i founder mi risposero di stare tranquillo, riposarmi e tenerli informati del mio stato di salute.
Sentii un nodo nel mio stomaco sciogliersi. Fuori una preoccupazione. Per ora.
Con la tensione che calava, mi resi conto che dovevo fare la pipì e che il mio corpo era coperto di sudore. Anche sotto e intorno allo scroto. Ugh!
Be’, quale modo migliore per esplorare il nuovo corpo se non facendosi una doccia? Mi sarebbe stata utile anche per rilassarmi.
Ed eccomi sotto l’acqua a insaponare cose che non avevo mai avuto prima. Temevo di fare i movimenti sbagliati e farmi male in qualche modo. Era troppo strano avere il pene, questo coso sensibile e appeso al corpo con quella pelle scorrevole e lo scroto, molliccio, sotto. Era molto strano anche avere il petto piatto, dopo tanti anni passati con le poppe. Be’, almeno potevo provare a correre senza rischiare di provare dolore. Tra l’altro, era curioso che i capezzoli fossero così poco sensibili.
Quanto alla pipì… anche quella una sensazione strana. Ovviamente non riuscii a centrare il buco - ma quanto era difficile prendere la mira?? - e dovetti mettermi a pulire. Per fortuna il bagno e la casa in generale erano già più o meno puliti - come li tenevo nella mia vita reale.
Avevo voglia di provare il pene, diciamo, a 360 gradi? Ovviamente bruciavo di curiosità. Era un’occasione pazzesca. Ma volevo prima finire di capire chi fossi. Per esempio, la questione della famiglia e quella di “Amore”.
Innanzitutto, spulciai gli altri social. Questo Aurelio non postava molte foto di sé, ma era taggato nelle foto di vari compleanni e si accompagnava spesso a una bella ragazza mora di nome Amanda. In una foto vidi Aurelio accanto a quello che nella mia vita reale era il mio ragazzo. Spalancai gli occhi.
Lo cercai su WhatsApp, ed eccolo lì, Daniele. Forse ci eravamo conosciuti a Monaco. Com’è piccolo il mondo. In chat, però, solo conversazioni un po’ superficiali. Curiosamente, ero un po’ delusa, ma in realtà era già tanto che ci fossimo incontrati e fossimo rimasti in contatto. Una dimostrazione molto carina di affinità.
E “Amore”? Naturalmente era Amanda, la ragazza mora. Nella chat la chiamavo Amy, tra svariati cuoricini e carinerie. E un “allora a domani”. Del giorno prima.
Merda! Di tutte le cose che avrebbero potuto mandare in vacca la mia situazione, questa era la più pericolosa… Come avrei fatto a fingermi Aurelio con la persona che lo conosceva di più?
Forse potevo darmi malato anche con lei.
Ma in quel momento mi venne in mente un’idea folle: vederla forse poteva voler dire capire cosa volesse dire fare sesso da uomo…
Probabilmente non dovevo. Sarebbe stata una truffa nei confronti di lei. Forse sarebbe stato anche tradimento nei confronti del mio ragazzo. Poi, probabilmente avrei fatto qualche casino e lei si sarebbe accorta che non ero Aurelio.
Ma se non avessi più avuto un’opportunità del genere? (Del genere, capito?)
Che casino.
Improvvisamente, un pensiero mi colpì: e se il lui che stavo sostituendo fosse stato nel mio corpo in quel momento?
Sperai quasi con violenza che prendesse a cuore la mia vita come io prendevo a cuore la sua.
“Ciao Amy… scusa ma non mi sento molto bene, forse non è il caso che ci vediamo oggi”.
Ma non ci fu verso. Anche se descrissi la mia malattia come un’infezione contagiosissima e mortale, Amy decise di venire lo stesso. A quanto pare aveva pure la chiave di casa, quindi non potevo chiuderla fuori, come avevo minacciato per non farla entrare.
Mannaggia a ‘ste donne testarde.
Avevo una sola scelta: studiare Aurelio.
Lessi tutti i messaggi che potevo, e in particolare quelli con lei.
Aurelio sembrava un tipo simpatico - il che ovviamente significa che condividevamo il senso dell’umorismo e varie opinioni su cose. Probabilmente meno affettuoso e interessato ai diritti umani di Jolanda, perché lo vedevo molto più brusco e freddo in certe interazioni. Ma mi sembrava comunque disponibile e spontaneo, oltre che curioso, nerd e testardo… Forse ce la potevo fare a passare per la stessa persona. Studiandolo ancora.
Intanto si era fatto mezzogiorno e avevo fame. Peccato che il frigo fosse vuoto.
Mi misi addosso cose a caso - ah, che liberazione avere quattro vestiti in croce e non mille cose adatte alle occasioni meno diverse! - e presi il portafoglio. C’era qualche banconota, oltre ai documenti e a una carta di credito d’oro che sembrava proprio da riccone (ma di cui ovviamente ignoravo il PIN).
E mentre uscivo di casa successe una cosa stranissima: mentre camminavo vidi una bellissima ragazza vestita in modo succinto, e il mio pene s’indurì.
Immediatamente verificai che non si notasse, e per fortuna mi pareva di no. Ma l’imbarazzo fu comunque abissale: mi sentivo come se tutti potessero vederlo. Difficile, poi, camminare con nonchalance con un ingombro sterico proprio fra le gambe…
Cibo. Cibo. Pensa al cibo.
Non so perché mi venne in mente Amy.
Peggio ancora.
AIUTO.
Feci la spesa più veloce della storia e tornai a casa.
Era difficile non pensare a certe cose, ma provai comunque a concentrarmi sul cibo - un tramezzino - e a studiare Aurelio. Per fortuna il pene si placò. E, quando mi sentii abbastanza sicura di conoscere un po’ questo Aurelio, tra i numeri di telefono cercai la madre.
Fu una telefonata pazzesca: era la mia vera madre. Le chiesi di mio fratello e mio padre, ed erano proprio loro. Ero io, in un’altra vita. Anche se, nonostante si capisse che era felice di sentirmi. mi parlava con più praticità che intimità di quanto faceva di solito.
Quando terminò la telefonata, ripensai al percorso di questo Aurelio, e mi stupii di quanto avesse osato. Nella mia vita reale, andare a vivere da sola era stata un’esperienza ricca di paure che non ero riuscita a superare fino ai 26 anni, e trasferirmi all’estero sarebbe stato ancora più spaventoso. Invece, Aurelio sembrava molto più sicuro di sé e disposto a buttarsi per mettersi alla prova. Oltre che molto più capace di far valere i suoi paletti. Eppure era sempre me, anche se era un maschio. Sembrava essere la differenza chiave fra me e lui.
Cosa c’era di diverso nel nostro percorso di vita che ci aveva portati a essere così? Naturalmente, quello che ci avevano detto e si aspettavano da noi avevano avuto un peso. Nel chiudermi nel mio mondo, quando avrei potuto esplorarlo di più. Nel rendermi più “mansueta” e meno capace di dire la mia. Ma anche nel rendermi più empatica e dolce.
È bello essere empatica e dolce. Però avrei preferito che non ci fossero stati questi influssi. Magari sarei stata comprensiva ma anche più audace, disponibile ma anche più ferma nel dire no e nello smettere di mettermi a disposizione di altri a discapito di me.
All’improvviso sentii una chiave che girava nella toppa.
CAZZO!
“Amore, come stai?” spuntò Amy.
CAZZO!
“Un po’ meglio. La febbre mi sembra andata via” sussurrai.
Amy rispose: “Pensavo stessi morendo”, con un tono che sembrava a metà tra l’arrabbiato e il sollevato.
“Non volevo contagiarti” ribattei. Speravo che almeno questo l’avrebbe fatta stare lontana.
Invece venne ad abbracciarmi. Sensazione strana essere così alti ed essere abbracciati da una figura così minuta.
“Lo sai che mi sei mancato?” mi chiese, mentre mi stringeva.
“Non ci vediamo da pochi giorni.”
“Sì, ma mi sei mancato…” mi strinse ancora di più.
Oh. No.
“Amore, ho mal di testa, non riesco” bisbigliai.
“Sì, scusami, lo so che stai male, però potrei farti stare meglio…” Iniziò a strusciarsi contro di me.
“Amy, ti prego” provai a dire, con il tono più penoso che riuscivo a usare a bassa voce. Nel frattempo, qualcosa sotto si smuoveva.
“Non mi vuoi?” domandò Amy, alzando dei mega occhioni scuri a guardarmi. Sembrava veramente ferita.
Perché a me…
“Certo che ti voglio, ma magari quando starò meglio” le risposi.
Ma avevo già capito che lei non avrebbe accettato un no.
Brutto? Sì. Però dall’altro lato anche molto bello.
Un’esperienza veramente pazzesca. È incredibile sapere come maschio e femmina abbiano sensazioni così diverse eppure possano provare comunque tanto piacere.
(Per fortuna non pare che lei si sia accorta che per me era la prima volta.)
Per quanto tempo ancora sarò uomo non lo so. Intanto, ci saranno un sacco di altre esperienze da sperimentare… Forse potrei anche farci l’abitudine.
Aurelio, farò del mio meglio per prenderti cura della tua bella vita. Hai costruito bene, e spero di non sbagliare.
Se sei nel mio corpo, per favore, fa’ del tuo meglio per la mia.
𝐷𝜇𝜌𝑙𝜀𝜘 𝜌𝜎𝜀𝜏𝜄𝑐𝛼
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16 settembre 2024 - 4 ottobre 2024
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