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XI ÷ KL* NOVE(M)BRIS




L'esercizio

Nel 1963 il regista francese Jean-Luc Godard ha girato il film Il disprezzo (tratto dall'omonimo romanzo del 1954 di Alberto Moravia).

In questo film è presente una scena in cui il protagonista cerca la propria ragazza dopo un litigio. I due si trovano ospiti nella casa di un loro collega a Capri, il vagare del protagonista in questi splendidi luoghi alla ricerca della ragazza, porta lo spettatore in una dimensione onirica. Siamo a conoscenza dei suoi pensieri turbolenti ma allo stesso tempo non possiamo fare a meno di assaporare quegli scorci fenomenali.

In questo esercizio creativo ho cercato di calarmi in una situazione simile, vagando in un luogo di questo pianeta e spingendomi quanto più possibile verso l’autoanalisi.




a Marco, mancato troppo presto -

a quel nostro breve e profondo tempo condiviso


«Devi trovare la pace.» Ecco cosa mi dice ancora una volta quella voce di bimba, una coscienza che è rimasta andandosene per sempre. È lì arroccata, mi attende girata di spalle. La nostra chiesa si vede appena oltre le scure e muffose tegole, ammassate in file imprecise su quel muro di sassi lungo via Valle Gobbi, che delimita il podere dell’abbazia. In fondo alla strada, sulla destra, compariva il complesso religioso nel suo volto moderno, dopo tutti quegli orti graziosi e ordinati mai visti in pianura: mi facevano pensare che il saperli curare così bene fosse un dono dei popoli del Leccapo. Dopo i pochi metri di quella rampa di cemento e asfalto che si ritorceva a chiocciola sul rilievo, si apriva lo spiazzo sacro. «Qui mi fermerò a lungo con me stesso,» dicevo. Il ciottolato è sempre stato troppo sbilanciato, nella sua dimensione, rispetto a quel nostro ricordo minuto, romanico e abbandonato. Ancora una volta, tra un edificio troppo novecentesco a destra e un cancelletto, un orto scosceso e una rada boscaglia su per la collina a sinistra, riempiva di stupore l’umiltà di quella facciata dolce, essenziale, cèrea e argillosa, carminio e ocra. Tuttavia d’improvviso, spostando l’attenzione al centro, un’enigmatica teoria a semicerchi concentrici di grotteschi elementi faunistico-floreali contornava la lunetta del portale, un susseguirsi e un concatenarsi semieterno di immagini prave: i miei pensieri?

«Maledetto me!» dicevo, mentre calpestavo ansioso il sagrato e tentavo di decifrare quell’iscrizione misteriosa, che è stata incisa in un epico passato su un masso chiaro e squadrato della muratura e che va ad affogarsi nella colonna più esterna del larghissimo stipite sinistro: è l’ultimo segreto della chiesa abbaziale di Santa Fede. «XI ÷ KL* NOVE(M)BRIS OB / ROL(L)ANDVS PP*». Continuavo a chiedermi senza tregua: «Chi c’è dietro? Divorami, verità.» Tu invece: «Devi trovare la pace». Anche questo è solo più un pensiero, che tuttavia sperava di fermare tutti gli altri, l’intera catena, tutta la teoria. «Cosa sarei stato, ora, mentre osservo questo spazio lontano nel tempo senza tutto quel rumore di fondo, quel susseguirsi incessante ...» La voce mi interruppe come se provenisse dall’angolo in alto a destra sopra i semicerchi mistici, dalla garguglia del volto di Eva: «Ho fatto tutto il possibile per aiutarti, ma per così tanto tempo non ho più visto un mezzo sorriso sul tuo volto e ...»

«… E così mi hai abbandonato.» Ecco che rispondeva la scimmia - quel muso sembra quello di una scimmietta, una belva -, Adamo, dall’angolo in alto a sinistra del portale. «Sì, dovevo, dovevo lasciarti trovare la pace.» concludeva Eva. «Hai fatto benissimo,» rispose Adamo. «Ora sono solo qui, davanti al mistero di questo passaggio. Ora mi chiederò ancora una volta cosa si cela dietro la mia bestialità. Voglio la verità: perché questa semieterna ora nona, perché non la decima, l’undicesima, la sesta o la settima, perché questa seminfinita crocifissione della mente? Tuttavia, è appunto un semicerchio quest’ora nona, è alla metà della giornata, è una mezza infinità; è mezzo l’uomo quindi, è un mezz’uomo; è un semicerchio la volta del portale, la teoria di pensieri e immagini aberranti è solo a metà. Questa metà è speranza. La teoria si può interrompere, basta un semplice atto di volontà.»

«Non abbiamo una risposta, però.» Interveniva ancora Adamo dalla mano sinistra, dal lato sinistro, sbagliato, della specie creata a immagine e somiglianza, l’anello debole che non tiene.


17 novembre ’19, domenica


Una giornata uggiosa. Tutto è caduto perfettamente nell’incipit della tua nuova vita maggiore; proprio di sabato il tuo genetliaco, la tua festa, la tua corte. Il giorno dopo la priora dell’abbazia di Santa Fede ci ha condotto lungo un corridoio presso la sagrestia, poi ha aperto una porta di metallo, una sorta di sgabuzzino. Ecco una sezione verticale del terreno fino alla pavimentazione originale della navata destra: sotto le piastrelle novecentesche c’era un mezzo metro di terra, pietre, malta e impiantito sfaldato, scomposto, una decomposizione di laterizi, una serenità di frammentati ricordi. «Ecco, hai trovato la pace,» parlava Adamo «è in quel passato sepolto.»


Cavagnolo (TO), aprile '21: borgate Montechiaro e Valle Gobbi, Abbazia di Santa Fede

commento sonoro: Candiah - Natura, marcia! (nov. '19)


Giacomo Pirovano


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